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Astrobiologia. “Alien Worlds” di Netflix: quando l’immaginazione incontra la scienza

La serie “Alien Worlds”, rilasciata qualche anno fa da Netflix, si addentra in un territorio affascinante: ipotizzare come potrebbero apparire creature extraterrestri su pianeti al di fuori del nostro Sistema Solare. Attraverso tecniche di animazione digitale e un solido substrato di nozioni scientifiche, la serie offre spunti di riflessione sul vasto panorama di possibilità evolutive che la vita potrebbe assumere in ambienti lontanissimi dalla Terra. Ma su cosa si basa questa immaginazione? Quali sono le variabili fisiche e chimiche fondamentali per l’emergere di forme di vita complesse? E come interpretano questi possibili scenari gli scienziati specializzati nello studio della vita oltre il nostro pianeta?

Di seguito, analizzeremo le principali aree scientifiche che entrano in gioco nella serie, arricchendo il discorso con le riflessioni di alcuni astrofisici e astrobiologi di fama internazionale, come Chris McKay (NASA Ames Research Center), Sara Seager (MIT) e Didier Queloz (Premio Nobel per la Fisica per la scoperta del primo esopianeta intorno a una stella di tipo solare).

La ricerca di esopianeti e la diversità dei sistemi stellari

Uno dei pilastri su cui si regge la serie “Alien Worlds” è la conoscenza sempre crescente degli esopianeti, ossia pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal Sole. Da quando Michel Mayor e Didier Queloz scoprirono il primo esopianeta intorno a una stella di tipo solare (51 Pegasi b) nel 1995, la ricerca ha fatto passi da gigante. Grazie a missioni come Kepler e TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) della NASA, sono stati identificati migliaia di mondi lontani, di cui molti potenzialmente rocciosi e situati nella “zona abitabile” della loro stella.

  • Tipologie di stelle: Una delle prime variabili determinanti per valutare la possibilità di vita è la tipologia di stella intorno a cui orbita un pianeta. Le stelle simili al Sole sono spesso considerate “ottimali” per sostenere un ambiente temperato e stabile, ma esistono anche stelle nane rosse (più piccole e fredde del Sole) che potrebbero garantire superfici planetarie con temperature compatibili con la presenza di acqua liquida. Tuttavia, le stelle nane rosse possono emettere forti flare (eruzioni di radiazione), che mettono alla prova la stabilità e l’abitabilità di eventuali pianeti orbitanti.
  • Periodo orbitale e distanza dalla stella: La cosiddetta “zona abitabile” non è altro che quella regione dove, teoricamente, l’acqua può esistere allo stato liquido sulla superficie di un pianeta. Se un pianeta è troppo vicino alla stella, potrebbe surriscaldarsi e perdere l’atmosfera; se è troppo lontano, l’acqua potrebbe ghiacciare permanentemente.

Riflessione di Didier Queloz: “La scoperta dei primi esopianeti ha aperto la strada a una nuova prospettiva: se il nostro Sistema Solare non è eccezionale, è molto probabile che esistano milioni di mondi con proprietà fisiche e chimiche paragonabili a quelle della Terra”.

L’importanza della gravità: morfologia e comportamento

Uno degli aspetti più affascinanti presentati da “Alien Worlds” è la varietà di forme di vita ipotizzate, plasmate dalle diverse condizioni di gravità. La gravità di un pianeta dipende dalla sua massa e dal suo raggio: pianeti di dimensioni simili a Giove avranno forze gravitazionali molto più intense di quelle terrestri, mentre corpi celesti più piccoli e leggeri come Marte avranno gravità inferiori.

  • Gravità elevata: Creature che vivono su un pianeta con una gravità superiore a quella terrestre tenderanno a essere più basse e tozze, con arti robusti per sostenere il peso del corpo. Il volo potrebbe risultare molto più dispendioso, se non impossibile, per organismi più grandi di piccole creature alate.
  • Gravità bassa: Su un pianeta con gravità ridotta, la struttura corporea potrebbe essere più esile e slanciata, consentendo un uso più agevole del volo o di “salti” per spostarsi. Tuttavia, un’atmosfera sufficientemente densa potrebbe anche facilitare lo sviluppo di grandi ali per sfruttare correnti ascensionali.

Riflessione di Chris McKay (astrobiologo NASA): “Quando immaginiamo forme di vita extraterrestri, dobbiamo tenere presente che il loro aspetto fisico e le loro strategie di sopravvivenza non saranno necessariamente riconoscibili rispetto alle creature terrestri. La gravità plasma non solo l’ambiente, ma anche il metabolismo e il comportamento di eventuali organismi viventi”.

Atmosfera e chimica: la base per la respirazione (e non solo)

L’atmosfera di un pianeta è determinata principalmente dalla sua composizione chimica originaria e dall’attività geologica e biologica che può modificarla nel tempo. Sulla Terra, la fotosintesi delle piante ha arricchito l’atmosfera di ossigeno, rendendo possibile la vita aerobica. Ma non è detto che la presenza di ossigeno sia condizione necessaria per la vita in generale: esistono organismi terrestri (archaea) che prosperano in assenza di ossigeno, usando altre vie metaboliche.

  • Atmosfere ricche di ossigeno: Potrebbero favorire la comparsa di organismi aerobici e di forme di vita più attive, in grado di sfruttare l’ossigeno per processi metabolici ad alta resa energetica.
  • Atmosfere ricche di metano o anidride carbonica: Potrebbero sostenere forme di vita che basano il proprio metabolismo su reazioni chimiche alternative, come quelle dei metanogeni (organismi che producono metano) o dei chemiosintetici (che traggono energia da reazioni inorganiche).
  • Atmosfere dense o sottili: Su Titano, una luna di Saturno, l’atmosfera è così densa da permettere a un essere umano di camminare senza tuta pressurizzata (anche se con protezioni termiche e respiratorie). Su un pianeta con atmosfera più densa della Terra, il volo potrebbe essere più facile; al contrario, su un pianeta con atmosfera molto rarefatta, la dispersione termica potrebbe essere notevole e la vita dovrebbe adattarsi a sbalzi di temperatura estremi.

Riflessione di Sara Seager (astrofisica, MIT): “Quando setacciamo gli spettri atmosferici di pianeti lontani, andiamo a caccia di ‘firme biologiche’ come l’ossigeno, l’ozono o altri gas che non dovrebbero esistere in alta concentrazione se non prodotti da qualche processo biologico. Conoscere la chimica dell’atmosfera ci dà indizi fondamentali sulla presenza (o sull’assenza) di vita”.

Clima e cicli biogeochimici: il delicato equilibrio

Un pianeta per sostenere la vita deve poter disporre di cicli geochimici relativamente stabili, in grado di regolare la concentrazione di gas serra come la CO₂. Sul nostro pianeta, la tettonica a placche, la vulcanologia e l’attività biologica contribuiscono a mantenere un equilibrio tra emissioni di CO₂ e suo riassorbimento negli oceani e nella litosfera. Su mondi alieni, altri processi potrebbero funzionare in maniera diversa, influenzando lo sviluppo di cicli vitali.

  • Effetto serra: Un effetto serra moderato è essenziale per mantenere temperature superficiali adatte alla vita. Senza un effetto serra naturale, la Terra sarebbe mediamente troppo fredda per sostenere la biosfera come la conosciamo.
  • Ghiacci e acqua liquida: La presenza di calotte polari o di oceani influenza la regolazione termica del pianeta: correnti oceaniche, venti e cicli stagionali sono parte integrante dei processi che contribuiscono alla distribuzione del calore.
  • Cicli stagionali estremi: In sistemi stellari diversi, con orbite ellittiche o più stelle, le stagioni potrebbero essere più pronunciate e alterare drasticamente la disponibilità di energia e risorse. Gli organismi dovrebbero evolvere meccanismi di sopravvivenza più estremi, come ibernazione o spostamenti migratori su scala planetaria.

Riflessione di Jill Tarter (SETI Institute): “È possibile che la vita si adatti a una vasta gamma di condizioni climatiche e chimiche, ma la stabilità di lungo periodo di un pianeta è fondamentale per favorire l’evoluzione di esseri più complessi. È lì che diventa interessante capire come i vari parametri planetari si incastrino in un sistema armonico”.

Le basi dell’evoluzione: selezione naturale e pressioni ambientali

La serie “Alien Worlds” si spinge a immaginare interi ecosistemi alieni basati su una versione “alternativa” della selezione naturale, plasmata dalle condizioni di ogni specifico pianeta. Non è un caso che molti dei principi della biologia evoluzionistica terrestre possano essere “esportati” altrove, quanto meno come linee guida:

  • Adattamento alle risorse: Se un pianeta è ricco di fonti energetiche (come la luce della stella madre o reazioni chimiche in prossimità di vulcani sottomarini), ci si aspetta una fauna e una flora più floride e diversificate.
  • Competizione e nicchie ecologiche: Gli organismi competono per il cibo, l’accesso a fonti di energia o i partner riproduttivi. Nel corso del tempo, le specie si specializzano in nicchie sempre più definite, dando origine a una variegata complessità.
  • Coevoluzione: Predatori e prede, impollinatori e piante, parassiti e ospiti: i rapporti simbiotici o antagonisti tra specie guidano l’evoluzione di tratti morfologici e comportamentali unici.

Riflessione di Richard Dawkins (biologo evoluzionista; citazione generale sul concetto, non presente in “Alien Worlds”): “Il principio della selezione naturale è universale. Non importa quale pianeta o sistema stellare si consideri: se esiste un ambiente con risorse finite e organismi che competono, si genererà adattamento evolutivo”.

Ipotesi di vita su mondi acquatici, gassosi e ghiacciati

“Alien Worlds” mostra anche mondi completamente diversi dal nostro, come pianeti-giungla con abbondanza di vegetazione oppure mondi in cui la superficie è in gran parte costituita da oceani. Sebbene la Terra stessa abbia un’ampissima percentuale d’acqua, un pianeta interamente oceanico pone alcune sfide particolari:

  • Mondi acquatici: Se un pianeta non ha terre emerse, la vita deve evolversi interamente negli oceani. Le maree, la profondità degli abissi e la presenza di vulcani sottomarini potrebbero dare luogo a nicchie ecologiche complesse e variegate, con “foreste” di coralli o organismi bioluminescenti che abitano gli strati più bui.
  • Pianeti gassosi: Giove e Saturno, per esempio, sono giganti gassosi del nostro Sistema Solare privi di una vera e propria superficie solida. Un’ipotesi (ancora fortemente speculativa) prevede che, in certe fasce atmosferiche, potrebbero formarsi aggregati di molecole organiche o addirittura organismi volanti.
  • Mondi ghiacciati: Molte lune di Giove e di Saturno – come Europa ed Encelado – sono coperte da uno spesso strato di ghiaccio, ma nascondono oceani interni. In questi ambienti, la fonte di energia principale potrebbe provenire da attività geotermica o da reazioni chimiche analoghe a quelle che sostengono la vita vicino alle “fumarole nere” sul fondo degli oceani terrestri.

Il ruolo della tecnologia e l’osservazione diretta

Se “Alien Worlds” costruisce visioni di mondi fantastici, la tecnologia reale per l’osservazione di esopianeti continua a progredire:

  • Telescopi spaziali di nuova generazione: Il James Webb Space Telescope (JWST) e altri futuri strumenti (come l’Osservatorio Nancy Grace Roman) permettono e permetteranno di analizzare con maggiore precisione la composizione atmosferica di esopianeti “vicini”.
  • Spettroscopia e firme biologiche: Attraverso la scomposizione della luce proveniente dai pianeti durante i transiti (quando passano davanti alla propria stella) o tramite la luce riflessa, gli astronomi cercano “firme” di molecole compatibili con la vita (ossigeno, metano, anidride carbonica in particolari concentrazioni).

Riflessione di Sara Seager: “Stiamo sviluppando metodologie sempre più complesse per distinguere ‘falsi positivi’ da segnali concreti di processi biologici. Non basta trovare tracce di ossigeno o metano, bisogna interpretarle in un contesto geologico e astrofisico coerente”.

Riflessioni finali: la scienza come guida per l’immaginazione

“Alien Worlds” attinge in modo creativo dalle teorie scientifiche per dar vita a ecosistemi complessi e creature verosimili, pur mantenendo un certo grado di libertà narrativa. È la fusione tra scienza e immaginazione a rendere la serie affascinante: per molti versi, è un’estensione visiva delle domande fondamentali che gli astrobiologi si pongono da decenni.

  • Educazione e meraviglia: La serie invoglia lo spettatore a riflettere su come la vita si adatti, ovunque trovi uno spiraglio di stabilità e risorse. È un modo efficace per alimentare la curiosità e spingere le persone a informarsi di più sul reale stato della ricerca astrobiologica.
  • Possibile influenza culturale: Ogni rappresentazione fantastica di mondi alieni, da “Star Trek” a “Avatar” sino a “Alien Worlds”, stimola l’immaginario collettivo. Spesso questi prodotti ispirano le future generazioni di scienziati, che con i loro studi cercheranno di rispondere agli interrogativi più profondi sul posto dell’umanità nell’Universo.

Conclusione di Chris McKay: “Non possiamo sapere con certezza se l’evoluzione su altri mondi seguirà gli stessi pattern terrestri, ma la scienza ci insegna che la vita è un potente adattatore. L’esistenza di molteplici ecosistemi extraterrestri è più di un’ipotesi fantasiosa: è un campo di ricerca in forte espansione, che richiede multidisciplinarietà e grande apertura mentale”.

In sintesi

La serie “Alien Worlds” dà forma a ipotesi scientifiche affascinanti con uno stile spettacolare, con l’obiettivo di mostrare allo spettatore come la fisica e la chimica di un pianeta (gravità, atmosfera, condizioni climatiche, radiazione stellare) possano plasmare radicalmente l’evoluzione di eventuali forme di vita. Da un punto di vista divulgativo, è un ottimo pretesto per approfondire i principi dell’astrobiologia e dell’evoluzione. Se da un lato la fantasia spinge a mostrare creature e ambienti estremi, dall’altro la scienza vera continua la sua ricerca di esopianeti e di segnali biologici, tenendo i piedi ben saldi nella realtà dei dati, ma con lo sguardo costantemente rivolto alle infinite possibilità che il Cosmo può offrire.

Stefano Camilloni

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