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Il linguaggio invisibile dell’universo: perché la matematica governa la realtà

Da John D. Barrow ad Amir D. Aczel, un viaggio tra scienza, filosofia e paradossi che svelano le infinite potenzialità del pensiero matematico.

Quando ci chiediamo perché il mondo sembri “funzionare” così bene quando viene descritto da leggi e formule, ci addentriamo in uno dei territori più misteriosi della scienza e della filosofia: la straordinaria efficacia della matematica. Nel suo libro Perché il mondo è matematico, John D. Barrow (29 novembre 1952 – 26 settembre 2020), astrofisico e matematico di fama, sostiene che la matematica non sia soltanto uno strumento di calcolo, ma la vera e propria trama che sorregge l’universo.

Barrow parte da esempi che vanno dall’armonia delle forme geometriche greche fino alle ipotesi più avanzate della fisica moderna, mostrando come i numeri non siano una semplice “invenzione umana”, bensì qualcosa di più profondo, quasi “incastonato” nel tessuto stesso del cosmo. Il messaggio centrale di Barrow è che la matematica non funge soltanto da linguaggio universale per spiegare fenomeni naturali, ma sembra coincidere con la struttura dell’universo.

Non è un’idea nuova – già Galileo affermava che il “libro della natura” è scritto in linguaggio matematico – tuttavia Barrow ne coglie gli aspetti più attuali, includendo gli sviluppi della fisica delle particelle, dell’informatica quantistica e delle teorie cosmologiche più ardite. Il libro mostra come molte teorie, nate come pure speculazioni matematiche, abbiano anticipato fenomeni fisici scoperti o confermati solo in un secondo momento.

John D. Barrow

Il confronto con il pensiero di Amir D. Aczel

Per approfondire questa visione, è illuminante accostarla alle opere di Amir D. Aczel (6 novembre 1950 – 26 novembre 2015), divulgatore e storico della matematica. Se da un lato Barrow sottolinea la natura “interna” della matematica all’universo, Aczel insiste sull’importanza storica e culturale delle scoperte numeriche, mostrando come teoremi e concetti siano anche il risultato di percorsi collettivi che hanno attraversato le varie civiltà.

Eppure, tra i due autori emerge un’idea condivisa: la potenza esplicativa e predittiva del linguaggio matematico. Gli esempi si sprecano: la teoria dei gruppi che ha previsto simmetrie poi ritrovate nei bosoni e fermioni della fisica subatomica, le equazioni di Maxwell che hanno dato forma all’elettromagnetismo, o la relatività di Einstein che ha stupito il mondo con previsioni confermate sperimentalmente (come la curvatura della luce attorno ai corpi massicci).

Dalle radici storiche ai futuri paradossi

Questo straordinario successo, che accomuna le tesi di Barrow e Aczel, pone al centro della riflessione il carattere “insolito” della matematica: come può qualcosa di apparentemente astratto cogliere con tanta efficacia la realtà fisica? La risposta non è semplice e ci porta a considerare zone di frontiera tra scienza e filosofia. È proprio in questi territori che la matematica, paradossalmente, si spinge oltre la propria apparente certezza, aprendo varchi di dubbio o di nuove scoperte grazie all’uso dei paradossi.

I paradossi, infatti, non sono soltanto esercizi accademici: pensiamo a quelli di Zenone sull’infinito, che hanno acceso per secoli il dibattito sulla continuità del tempo e dello spazio, oppure al “Paradosso del Mentitore” che ha messo in crisi la logica classica. Oltre alle celebri antinomie che segnano la storia del pensiero matematico, possiamo immaginare – per estendere in chiave moderna quanto sostenuto da Barrow e Aczel – nuovi paradossi che sfidino ulteriormente i fondamenti di questa disciplina, indicando percorsi inesplorati.

Amir D. Aczel

Verso nuovi orizzonti di contraddizione apparente

Nell’alveo di queste riflessioni, ecco allora tre suggestioni di “paradossi immaginari” che potrebbero nascere da un’ulteriore fusione tra il pensiero di Barrow, attento alle strutture profonde dell’universo, e quello di Aczel, proiettato sui percorsi storici e culturali della matematica:

Il Paradosso dell’Immobilità Frattale
In un sistema fisico descritto da una funzione frattale, ogni porzione dell’oggetto si replica su scale sempre più piccole, all’infinito. Se il sistema appare in costante “movimento” a livello macroscopico, a livello microscopico si riproduce identico a sé stesso, senza mostrare un cambiamento reale di forma. Come definire, allora, lo “stato di moto” in un’entità frattale soggetta a scala infinita? Questo tipo di contraddizione fornisce uno spunto per ripensare la relazione tra ciò che cambia e ciò che rimane, introducendo potenziali nuovi modelli di descrizione fisica.

Il Paradosso della Somma Spezzata
Immaginiamo di dividere un numero finito in un numero infinito di parti infinitesime: di norma, la somma di tali parti dovrebbe restituire il valore iniziale (un concetto simile alla somma di una serie convergente). Tuttavia, in una teoria ipotetica, un particolare assioma potrebbe imporre che la somma di infinite infinitesime “accumuli” un valore che cresce oltre il numero di partenza, ma senza diventare infinito. Una simile bizzarria scardinerebbe i principi classici dell’analisi matematica, creando un ponte – o una frattura – tra la fisica quantistica (dove le fluttuazioni assumono un ruolo decisivo) e la matematica standard.

Il Paradosso della Separazione Uno–Infinito
Consideriamo un insieme che possiede un solo elemento, “1”. Ora, ipotizziamo un’operazione rivoluzionaria (ancora non definita rigorosamente) in grado di “sdoppiare” quell’unico elemento in un numero potenzialmente infinito di entità, tutte identiche all’originale. In tal modo, violeremmo la legge di conservazione della cardinalità: un insieme con un solo elemento si trasforma in un insieme infinito, senza che i due insiemi differiscano nella loro definizione formale. Un corto circuito tra il concetto di “unicità” e quello di “infinito”, che spingerebbe a rivedere da capo le gerarchie di cardinalità.

    Un linguaggio in continua evoluzione

    L’efficacia del linguaggio matematico, secondo Barrow e Aczel, risiede non solo nella sua forza descrittiva ma anche nella sua capacità di anticipare e perfino generare nuove realtà concettuali. I paradossi sono uno specchio di queste possibilità: ci costringono a vedere i limiti e, insieme, la duttilità del pensiero matematico. Dall’ordine rassicurante dei teoremi al disordine creativo dei paradossi, la matematica emerge come un linguaggio in continua evoluzione, capace di incarnare l’infinita curiosità umana.

    Che si tratti di fenomeni cosmologici o di strutture frattali, di teorie numeriche o di paradossi ancora da scoprire, il filo rosso che unisce Barrow ad Aczel – e forse tutti noi – è il desiderio di comprendere come la realtà possa essere, in fondo, governata da un linguaggio tanto elegante e, al contempo, misterioso. La matematica, se ci poniamo le domande giuste, è lì per ricordarci che ogni certezza apre la strada a nuove, sorprendenti contraddizioni. E in queste contraddizioni, con la meraviglia di un’esplorazione senza fine, si cela la vera ricchezza della conoscenza.

    Stefano Camilloni

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