Dall’inquietante vuoto quantistico alla poesia della matematica: un’indagine a più voci sul grande “Perché” dell’esistenza
Uno degli aspetti più divertenti — e allo stesso tempo illuminanti — di Perché il mondo esiste di Jim Holt è come l’autore passi con disinvoltura dal salotto di un filosofo alla scrivania di un fisico teorico, per poi finire nel laboratorio di un matematico. Sembra quasi un acrobata intellettuale che, senza rete di protezione, attraversa confini disciplinari a volte molto marcati. Ed è qui che la storia si fa avvincente: i fisici e i matematici sembrano avere da sempre un conto in sospeso con la domanda “Perché c’è qualcosa invece che il nulla?”, anche se non sempre lo ammettono apertamente (come quando chiedi al tuo amico fisico se crede in Dio e lui ti risponde parlando di stringhe vibranti e multiversi).
Il ruolo dei fisici: leggi di natura, vuoto quantistico e multiverso
I fisici che Holt interroga ci raccontano un universo che, almeno a prima vista, sembra emergere da leggi di natura che “non potevano fare a meno” di manifestarsi. Alcuni scienziati, per esempio, suggeriscono che il vuoto quantistico — tutt’altro che un vuoto assoluto — sia dotato di una sua energia e, per via di fluttuazioni casuali, possa aver dato origine al Big Bang. Da questa prospettiva, l’esistenza di qualcosa sarebbe un “effetto collaterale” del fatto che le leggi quantistiche non conoscono riposo: un po’ come quei vicini rumorosi che, anche di notte, non riescono a stare tranquilli e finiscono per “produrre” nuovi universi.
Altri, invece, cavalcano l’idea del multiverso: se c’è una miriade di universi possibili, con ogni combinazione di costanti fisiche immaginabile, non dobbiamo sorprenderci che ne esista almeno uno in cui ci siamo anche noi — con i nostri caffè amari la mattina e i periodi di crisi filosofica. Questo ribalta la prospettiva: il fatto che il nostro universo esista non sarebbe una circostanza straordinaria, ma una delle tante possibilità che la natura aveva in serbo. Forse, come dice Jim Holt con una punta di umorismo, è persino più sorprendente che non ci siano più universi popolati da domande scomode come le nostre.
L’apporto dei matematici: la realtà come struttura
Dall’altro lato, i matematici intervistati da Holt — e molti di quelli che hanno animato il dibattito filosofico-scientifico negli ultimi secoli — avanzano un’ipotesi seducente: che la matematica sia, in un certo senso, la “grammatica” della realtà. Per alcuni, le entità matematiche “esistono” indipendentemente dalla nostra mente, quasi fossero pianeti platonici che ci attendono pazienti (più di noi, sicuramente) da qualche parte nell’iperspazio delle idee.
Secondo questa prospettiva, potremmo dire che l’Universo “deve” esistere perché, prima ancora di essere fisico, è un insieme coerente di strutture e relazioni che non possono non rivelarsi. È come se fosse scritto a caratteri cubitali nelle equazioni che governano la materia e l’energia: la realtà è lì, che attende soltanto un “big bang” per avviarsi. E non sta scritto da nessuna parte che debba fermarsi a uno solo.
Il pensiero di Piergiorgio Odifreddi
E qui si inserisce a pennello Piergiorgio Odifreddi, matematico e grande comunicatore, che da anni ricorda come la matematica rappresenti il linguaggio di base dell’Universo. Secondo Odifreddi, gran parte di ciò che ci circonda è intelligibile perché si comporta in maniera “traducibile” nelle formule matematiche: dalle orbite dei pianeti alla struttura dei cristalli, dai circuiti elettrici alla genetica.
Questo non significa – ammonisce Odifreddi – che la matematica risolverà tutti gli enigmi, svelandosi come una sorta di bacchetta magica. Ma è innegabile che ci fornisca un quadro potentissimo per capire la “stoffa” di cui è tessuta la realtà. Dopotutto, se il mondo fosse interamente un cruciverba, la matematica sarebbe l’insieme di regole grammaticali, ortografiche e logiche per compilare ogni casella correttamente. Ma, proprio come in un cruciverba, non sempre avremo tutte le definizioni a portata di mano: alcuni concetti resteranno ostinatamente ambigui o, addirittura, indecidibili, lasciandoci a rimuginare su quale sia la parola giusta.
Odifreddi, inoltre, rimarca spesso quanto sia affascinante (e, a tratti, inquietante) che queste regole matematiche sembrino reggere da millenni l’intera costruzione dell’Universo senza subire cambiamenti significativi. È un po’ come se guidassimo un’auto per miliardi di chilometri e, nonostante qualche buca qua e là, non dovessimo mai cambiare il motore. Quasi un sogno per ogni autista!
Punti di vista
In definitiva, l’indagine di Jim Holt su “Perché il mondo esiste” è un viaggio entusiasmante che riesce a tenere insieme i “colletti bianchi” della filosofia, gli “hard rockers” della fisica teorica e i “geometri dell’astratto” della matematica. Mentre i primi cercano di dare un significato ultimo all’esistenza, i secondi mostrano come l’universo potrebbe spuntare “naturalmente” da leggi quantistiche e multiversi, e i terzi offrono una struttura logica che sembra sottendere ogni possibile realtà.
In tutto questo, la voce di Odifreddi funge da filo conduttore tra la concretezza della scienza e l’astrazione della matematica, ricordandoci che, anche se la nostra intelligenza è limitata, il desiderio di capire è illimitato. E se non troveremo una risposta definitiva alla domanda “Perché c’è qualcosa invece che il nulla?”, possiamo comunque goderci il percorso, sorseggiando un caffè (magari non troppo amaro) e sorridendo all’idea che, almeno per un po’, anche la fisica e la matematica hanno deciso di stare dalla nostra parte.
Stefano Camilloni