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Esiste davvero un nono pianeta nel Sistema Solare? Le nuove prospettive dell’astronomia

Misteriose orbite ai confini del nostro sistema planetario, ipotesi rivoluzionarie e la promessa di un telescopio straordinario: l’Osservatorio Vera C. Rubin potrebbe svelare entro pochi anni se un corpo celeste massiccio e invisibile—dieci volte più grande della Terra—sta modellando il destino degli oggetti trans-nettuniani. Una scoperta che cambierebbe per sempre la nostra comprensione del cosmo.

La storia di Mike Brown, astronomo del California Institute of Technology, è legata indissolubilmente a Plutone—il “nono pianeta” del Sistema Solare, declassato però a pianeta nano nel 2006. La scoperta di Eris, un corpo celeste poco più grande di Plutone, è stata la molla che ha portato l’Unione Astronomica Internazionale (IAU) a ridefinire il concetto di “pianeta” e a sottrarre a Plutone lo status che aveva sin dalla sua scoperta, avvenuta nel 1930. “L’uomo che ha ucciso Plutone”: così è stato soprannominato Brown. Ma sua figlia, quando aveva circa dieci anni, gli diede un singolare suggerimento per riscattarsi: “Se hai tolto di mezzo un pianeta, allora trovane un altro!” All’epoca Brown ammise di averla considerata una prospettiva improbabile; ma oggi, due decenni dopo, è convinto di essere molto vicino alla scoperta di un vero e proprio “Pianeta Nove”.

Un mistero nei confini remoti del Sistema Solare

Le ricerche degli ultimi anni hanno messo in luce un fenomeno anomalo ai confini del Sistema Solare: alcune rocce ghiacciate, chiamate oggetti trans-nettuniani estremi (ETNO), si trovano su orbite insolitamente ellittiche e inclinate, come se fossero state “scolpite” da un invisibile campo gravitazionale. In particolare, corpi come Sedna e 2012 VP113 orbitano tanto lontano che l’influenza di Nettuno, Giove e degli altri giganti gassosi risulta irrilevante. Eppure, questi oggetti mostrano evidenti tracce di un “pastore” gravitazionale esterno che li sposta e li accumuna.

Nel 2016, lo stesso Mike Brown e il collega Konstantin Batygin pubblicarono uno studio che ipotizzava l’esistenza di un pianeta dalle cinque alle dieci masse terrestri, nascosto a centinaia di unità astronomiche (AU) dal Sole. Una scoperta del genere, oltre a rappresentare il riscatto di Brown agli occhi del pubblico affezionato a Plutone, cambierebbe nuovamente i libri di scuola e ci costringerebbe a rivedere la storia della formazione planetaria.

Perché “Pianeta Nove”?

La denominazione “Pianeta Nove” nasce dalla tradizione di assegnare un numero progressivo ai corpi planetari. Una volta che Plutone è stato riclassificato come pianeta nano, rimangono otto pianeti “ufficiali”. Se la previsione di Brown e Batygin si rivelasse corretta, il Sistema Solare tornerebbe ad avere un nono pianeta a tutti gli effetti: più grande della Terra ma più piccolo di Nettuno, potrebbe essere rimasto nascosto in una regione così buia e lontana da sfuggire alle osservazioni dirette.

Già nel 2014, due astronomi—Chadwick Trujillo e Scott Sheppard—avevano ipotizzato che Sedna e altri oggetti simili fossero influenzati da un corpo esterno, con una massa alcune volte quella terrestre. L’idea piacque a Brown, che cominciò a collaborare con Batygin per mettere a punto simulazioni dettagliate. Emersero dati molto promettenti: analizzando l’orientamento delle orbite di alcuni corpi estremi, gli scienziati notarono che si raggruppavano in un modo difficilmente spiegabile dal caso o dall’influenza dei pianeti noti.

Ipotesi alternative (e scetticismo)

L’esistenza di un “nono pianeta” ai confini del Sistema Solare non è l’unico scenario possibile. Altre ipotesi, meno convenzionali, includono:

  1. Una versione ridotta del Pianeta Nove: un oggetto paragonabile a Marte annidato nel bordo estremo della Fascia di Kuiper.
  2. Un disco di detriti ghiacciati estremamente massiccio, capace di perturbare le orbite degli oggetti lontani.
  3. Passaggi di stelle o pianeti vaganti che in epoche remote avrebbero distorto le orbite di Sedna e affini.
  4. Un buco nero primordiale di massa equivalente a diverse Terre, ipotesi molto suggestiva ma meno “banale” di un pianeta.

Nel frattempo, molti astronomi rimangono scettici: potrebbe darsi che le orbite “strane” osservate siano solo un’illusione statistica. Quando si lavora con pochi oggetti noti—spesso individuati in aree di cielo più facili da scrutare—si rischia di cadere vittima di bias osservative. Insomma, stiamo davvero vedendo un raggruppamento orbitale reale o soltanto una manciata di corpi scoperti tutti nella stessa regione perché era più semplice osservarla?

Le survey recenti, come l’Outer Solar System Origins Survey (OSSOS) o il Dark Energy Survey, hanno individuato centinaia di oggetti della Fascia di Kuiper, e non tutti presentano i segni di questa misteriosa “forza esterna”. Secondo alcuni ricercatori, servono dati molto più numerosi per avere una certezza statistica inoppugnabile.

Il ruolo cruciale dell’Osservatorio Vera C. Rubin

È qui che entra in gioco il nuovo Osservatorio Vera C. Rubin in Cile. Si tratta di un ambizioso progetto finanziato dalla National Science Foundation e dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti: a partire dal 2025, questo telescopio di nuova generazione inizierà a fotografare ogni notte vaste porzioni di cielo australe. Grazie al suo campo di vista eccezionalmente ampio e alla sua fotocamera da 3,2 gigapixel (la più grande del mondo), Rubin catturerà centinaia di migliaia—se non milioni—di nuovi oggetti, compresi corpi finora sconosciuti nelle remote regioni oltre Nettuno.

Ogni immagine del telescopio verrà analizzata da un software automatico, che segnalerà movimenti anomali o improvvise variazioni di luminosità. Tra i molteplici obiettivi scientifici di Rubin (dall’analisi delle supernovae distanti al catalogo degli asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra), spicca la possibilità di risolvere il mistero del Pianeta Nove. Entro i primi due o tre anni di attività, l’Osservatorio dovrebbe fornire un’ampia copertura del cielo: se il Pianeta Nove esiste, sarà inevitabilmente rivelato direttamente o indirettamente.

  • Rilevazione diretta: se il Pianeta Nove riflette abbastanza luce (ad esempio, se ha dimensioni pari a quelle di Nettuno e un’atmosfera ricca di ghiacci), potrebbe mostrarsi come un debole puntino luminoso nelle immagini di Rubin.
  • Rilevazione indiretta: in caso sia un corpo particolarmente scuro, si potrà comunque confermare la sua presenza studiando le orbite dei nuovi oggetti trans-nettuniani. Se le loro traiettorie mostrano un clustering coerente con un’unica fonte gravitazionale, sarà difficile negare l’esistenza di un pianeta in quella regione.

Una scoperta dal potenziale rivoluzionario

Individuare un nuovo pianeta nel Sistema Solare avrebbe ripercussioni enormi:

  1. Comprendere meglio la formazione planetaria: la presenza di un pianeta massiccio così distante potrebbe indicare che in passato è stato “espulso” dalle regioni interne del Sistema Solare o che si è formato in situ su un’orbita incredibilmente ampia.
  2. Rivalutare la geografia planetaria: i modelli teorici dell’evoluzione del Sistema Solare dovrebbero includere un nono pianeta, costringendo i ricercatori a rivedere molte ipotesi sull’architettura orbitale.
  3. Confermare tendenze nell’esoplanetologia: la maggior parte delle stelle simili al Sole ospita pianeti “mini-Nettuniani” (con masse tra quelle della Terra e di Nettuno). Trovare un analogo nel nostro Sistema Solare chiarirebbe perché finora ci sentivamo un’eccezione.

Il miglior pianeta del Sistema Solare

Se il Pianeta Nove esiste, la sua scoperta potrebbe avvenire presto, con l’Osservatorio Vera C. Rubin pronto a entrare in funzione. Nel giro di pochi anni, un numero massiccio di oggetti trans-nettuniani nuovi di zecca permetterà di stabilire con maggiore certezza se le orbite misteriosamente allineate siano davvero il segnale di un pianeta sconosciuto o solo un artefatto statistico. Molti astronomi, come Megan Schwamb e altri ricercatori, mantengono un sano scetticismo, pronti a lasciarsi sorprendere da qualunque risultato.

Mike Brown, invece, non nasconde il suo ottimismo: si aspetta che presto potremo toccare con mano la prova definitiva di un nuovo, grande pianeta. Del resto, la storia del Sistema Solare è sempre stata costellata di rivoluzioni—da Copernico a Keplero, da Urano a Plutone. E se davvero il futuro ci riserverà un “Pianeta Nove”, lui promette: “Sarà il miglior pianeta del Sistema Solare”. Forse non sarà una consolazione per i nostalgici di Plutone, ma sicuramente sarà un nuovo capitolo nell’affascinante e ancora incompleta storia del cosmo che abitiamo.

Stefano Camilloni

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