Immaginiamo di entrare in una cabina, premere un bottone e ritrovarci istantaneamente su un’isola tropicale. È un sogno vacanziero perfetto, nonché lo scenario rappresentato in tanti film di fantascienza dove il “teletrasporto” compare come uno spostamento istantaneo da un punto all’altro dell’universo. La realtà è, purtroppo (o per fortuna), più complessa. Eppure, la fisica quantistica ha dimostrato che una forma particolare di teletrasporto esiste davvero, anche se non comporta lo “smaterializzarsi” e “ricomporsi” altrove come nei film. In questo articolo esploreremo il lavoro pionieristico di alcuni dei padri fondatori del “teletrasporto quantistico”: Charles H. Bennett, Anton Zeilinger, William Wootters, Asher Peres e Samuel L. Braunstein. Vedremo in che modo le loro ricerche si integrano in un’unica tessitura teorico-sperimentale e come la fantascienza abbia, in realtà, distorto (in modo alquanto pittoresco) il vero significato di questa rivoluzionaria scoperta. Infine, daremo uno sguardo alle recenti evoluzioni sperimentali e proveremo a fantasticare su possibili scenari futuri.
L’idea del teletrasporto quantistico
Nel 1993, un manipolo di scienziati – tra cui Charles H. Bennett, William Wootters, Asher Peres (assieme ad altri come Gilles Brassard e Claude Crépeau) – pubblicò un articolo fondamentale in cui veniva esposta per la prima volta l’idea di “teletrasporto quantistico”.
Ma di che si tratta? In soldoni, non esiste un “viaggio” istantaneo della materia o dell’energia. Il teletrasporto quantistico riguarda invece la trasmissione dello stato quantistico di una particella (ad esempio un fotone) da un luogo A a un luogo B, sfruttando alcune peculiarità della meccanica quantistica come l’entanglement e la misurazione.
L’entanglement è lo “strano legame” tra particelle che rimangono “collegate” in modo tale che lo stato di una influenza istantaneamente lo stato dell’altra, indipendentemente dalla distanza. Per teletrasportare lo stato di una particella (chiamiamola qubit) da A a B, serve che i due luoghi condividano una coppia di particelle entangled (create e distribuite precedentemente). Poi, grazie a una misura eseguita in A e all’invio di classici bit di informazione a B (via e-mail, piccioni viaggiatori o, più realisticamente, fibre ottiche), è possibile “ricostruire” lo stato originario sul qubit che si trova in B.
Il teletrasporto quindi non ci consente di “smaterializzare” un oggetto in un posto e “ricostruirlo” in un altro, ma di trasferire l’informazione quantistica. Come disse un celebre professore di fisica quantistica: “Non spostiamo l’entità fisica, ma cloniamo lo stato, distruggendolo nel punto di partenza e rigenerandolo nel punto di arrivo”. Se volete far scomparire magicamente il vostro gatto e teletrasportarlo in cucina… be’, al gatto questo non piacerebbe affatto e i fisici vi guarderebbero con sospetto.
I protagonisti: Bennett, Zeilinger, Wootters, Peres e Braunstein
Charles H. Bennett
Bennett, fisico e ricercatore all’IBM, è tra i pionieri della teoria dell’informazione quantistica. È co-autore di uno degli articoli che ha dato il via all’intero filone sul teletrasporto quantistico. Con i suoi colleghi, ha mostrato come l’entanglement possa essere sfruttato per inviare informazione quantistica in modo “più veloce della luce”… ma con un trucco: serve comunque un canale classico (quindi sub-luminale), quindi niente violazioni di principi fondamentali della fisica.
Anton Zeilinger
Zeilinger, fisico austriaco, è famoso per le sue sperimentazioni pionieristiche sull’entanglement. Mentre Bennett è stato tra i teorici chiave, Zeilinger è colui che – con il suo gruppo di Vienna – si è rimboccato le maniche per realizzare praticamente gli esperimenti di teletrasporto quantistico. Nel 1997, è riuscito a dimostrare il teletrasporto di stati quantistici di fotoni su brevi distanze, aprendo così la strada a nuovi esperimenti sempre più complessi e a più lunga gittata. Nel 2022, è stato insignito del Premio Nobel per la Fisica (con John Clauser e Alain Aspect) proprio per le ricerche pionieristiche sulla meccanica quantistica (tra cui entanglement e teletrasporto).
William Wootters
Co-autore dello storico articolo del 1993, Wootters ha dato contributi fondamentali nel formalizzare i concetti di entropia quantistica, nella descrizione degli stati quantistici e, naturalmente, nel teletrasporto. Il suo cognome “Wootters” spesso ruba la scena per la musicalità (sarà anche un buon segnale di teletrasporto?).
Asher Peres
Figura di primo piano nella fisica quantistica, Peres è conosciuto anche per la frase “Quantum phenomena do not occur in a Hilbert space. They occur in a laboratory”, a sottolineare la necessità di sperimentare concretamente. Con Bennett, Wootters e altri, pubblicò il lavoro che gettò le basi del teletrasporto, contribuendo in maniera cruciale alla comprensione delle relazioni tra entanglement e informazione.
Samuel L. Braunstein
Braunstein ha esteso il concetto di teletrasporto a sistemi più complessi, tra cui stati coerenti di luce (i cosiddetti “stati di luce classica” da un punto di vista quantistico). Ha mostrato come il teletrasporto non fosse limitato a qubit discreti, ma potesse essere applicato anche a variabili continue, rendendo il campo ancora più vasto e promettente.
Parallelismo
- Bennett è il teorico del “protocollo” che indica come fare.
- Zeilinger è l’esperto sperimentale che mostra nel laboratorio che il protocollo funziona davvero.
- Wootters e Peres hanno contribuito in modo cruciale alle fondamenta teoriche, chiarendo perché il teletrasporto non viola la causalità.
- Braunstein ha ampliato l’idea originale a nuove frontiere, svelando che il teletrasporto non è limitato ai soli fotoni/spin qubit ma può riguardare anche variabili continue.
Insieme, queste menti brillanti hanno creato il “racconto” del teletrasporto quantistico: teoria, esperimento e innovazione.
Il teletrasporto al cinema: un “leggero” fraintendimento
Il cinema ha una lunga tradizione di teletrasporti spettacolari: basti pensare alla saga di “Star Trek”, dove l’equipaggio dice “Energize!” e scompare in un tripudio di scintille luminose, ricomparendo su un pianeta alieno come se nulla fosse. Oppure nel film “La Mosca”, dove l’esperimento va un po’ storto e… meglio non spoilerare se qualcuno non l’ha visto.
Sebbene queste storie siano un ottimo carburante per la nostra immaginazione, la versione quantistica del teletrasporto è molto più sobria (e, se vogliamo, decisamente meno confortevole per un viaggio di piacere). Non si “trasporta” materia: si trasporta informazione quantistica. L’oggetto o la persona da teletrasportare verrebbe letteralmente distrutto nel processo di misura. A volte scherziamo sul fatto che se una persona si sottoponesse a teletrasporto quantistico, verrebbe misurata in un luogo (distrutta!) e poi ricostruita altrove. Forse non proprio quello che sogniamo per le nostre future vacanze!
Recenti esperimenti e risultati
Oltre alle prime dimostrazioni in laboratorio di Zeilinger, altri gruppi in tutto il mondo hanno continuato a spingere i limiti dell’esperimento. In Cina, il gruppo del satellite “Micius” ha fatto scalpore dimostrando la possibilità di teletrasportare stati quantistici di fotoni tra terra e satellite a oltre mille chilometri di distanza. Altri laboratori hanno mostrato che è possibile “teletrasportare” qubit di ioni o persino stati quantistici tra nodi di una rete a fibre ottiche.
Negli ultimi anni, si è arrivati a realizzare il teletrasporto di fotoni con efficienza sempre maggiore e, cosa più importante, a farlo in modo sempre più stabile. Questi risultati sono cruciali per la futura comunicazione quantistica sicura, perché il teletrasporto è un mattone fondamentale del cosiddetto quantum internet, una rete di comunicazione basata sulla meccanica quantistica che consentirebbe, ad esempio, scambi di chiavi crittografiche in modo intrinsecamente sicuro.
Futuri sviluppi e teorie speculative
Cosa possiamo attenderci dal futuro? Da un lato, la tecnologia del teletrasporto quantistico continuerà a migliorare, diventando più affidabile e accessibile. Questo aprirà la strada a reti quantistiche su scala mondiale, in cui computer quantistici geograficamente distanti potranno “collegarsi” e lavorare insieme come un gigantesco super-calcolatore distribuito.
In un futuro ancora più lontano (e qui prendiamo in prestito un pizzico di fantasia dalla fantascienza), qualcuno ipotizza che potremmo arrivare a teletrasportare non solo singole particelle o piccoli gruppi, ma stati macroscopici. È tuttavia bene chiarire che l’enorme complessità di un corpo umano – con i suoi miliardi di miliardi di atomi – renderebbe il processo proibitivo e forse, da un punto di vista etico e filosofico, anche piuttosto inquietante.
Alcune teorie ipotizzano che, grazie ad anelli gravitazionali o “wormhole” quantistici (finora più fantascienza che realtà), si potrebbe collegare un teletrasporto “classico” ad effetti spazio-temporali più stravaganti. Ma siamo oltre il confine attuale della fisica sperimentale, in territori dove Stephen Hawking e Kip Thorne si davano amichevoli “pizzicotti” teorici sulle possibili violazioni della causalità.
Stati quantistici
Il teletrasporto di Star Trek, con le cabine scintillanti e il viaggio istantaneo, appartiene ancora alla fantascienza (e forse anche al regno degli incubi se pensiamo alle implicazioni di essere “ricostruiti” altrove). Tuttavia, il teletrasporto quantistico è una realtà sperimentale: grazie al lavoro pionieristico di Bennett, Wootters, Peres, Braunstein e alle sperimentazioni di Zeilinger (e di tanti altri gruppi nel mondo), oggi possiamo trasferire stati quantistici con straordinaria precisione.
Questo non ci farà risparmiare sul biglietto aereo per le Bahamas, ma ci ha già mostrato come i fondamenti della fisica quantistica possano essere utilizzati per creare nuove tecnologie di comunicazione, criptografia e calcolo. E chissà che, nel giro di qualche decennio (o secolo), i nostri pronipoti non trovino il modo di teletrasportare davvero un caffè caldo da una parte all’altra dell’universo, così che durante un noioso turno di lavoro si possa dire: “Scotty, teletrasporta quell’espresso!”… almeno, possiamo sempre sperare che arrivi ancora caldo.
Stefano Camilloni