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Oltre il velo della morte: cosa dice davvero la scienza sul fine vita e l’aldilà

La morte è un evento centrale della condizione umana e, allo stesso tempo, uno dei più grandi misteri che l’uomo abbia cercato di comprendere sin dall’antichità. Nel corso dei secoli, la filosofia, la religione e l’arte hanno offerto interpretazioni e punti di vista sulla fine della vita, ma la scienza, con i suoi metodi di indagine rigorosi, fornisce alcune risposte concrete su cosa accade al corpo dopo il decesso e su come sia possibile studiare tale fenomeno. Parallelamente, i grandi fisici e matematici del XX e XXI secolo – tra cui Albert Einstein, Stephen Hawking, John Barrow, Frank Tipler, Paul Davies e Piergiorgio Odifreddi – hanno cercato di offrire riflessioni che uniscono la dimensione fisica e quella cosmologica della morte, interrogandosi, a loro modo, sul tema dell’aldilà.

Cosa succede al corpo umano quando muore

Dal punto di vista biologico, la morte di un organismo è il risultato dell’interruzione irreversibile di tutte le funzioni vitali. Nello specifico:

  1. Arresto cardiaco e circolatorio: il cuore smette di battere, cessando di pompare sangue e ossigeno ai tessuti. Questo segna l’inizio della morte clinica.
  2. Morte cerebrale: con l’arresto del flusso di sangue, il cervello perde la propria irrorazione e, di conseguenza, cessa l’attività elettrica. La morte cerebrale è ritenuta, oggi, il criterio principale per dichiarare il decesso in ambiente medico.
  3. Perdita di calore corporeo: dopo il decesso, il corpo inizia a raffreddarsi secondo un processo chiamato algor mortis, che dipende da fattori ambientali, dalla massa corporea, dal vestiario e da altri parametri specifici.
  4. Rigor mortis: dopo alcune ore dalla morte, i muscoli del corpo subiscono un irrigidimento a causa di modificazioni chimiche nelle cellule (riduzione dell’ATP e blocco dei ponti actina-miosina).
  5. Livor mortis: il sangue, spinto dalla gravità, si accumula nelle parti declivi del corpo, producendo le “macchie ipostatiche” (lividi post-mortem).
  6. Decomposizione: nel tempo, enzimi e batteri iniziano a degradare i tessuti. Questo processo, favorito da microrganismi già presenti nell’intestino e sulla pelle, è influenzato da vari fattori esterni (temperatura, umidità, presenza di insetti, ecc.).

Questi fenomeni, studiati dalla medicina legale e dalla biologia forense, sono fondamentali per definire l’esatta epoca e le circostanze del decesso. A livello macroscopico, il corpo va incontro a trasformazioni fisico-chimiche progressive; a livello microscopico, si assiste alla rottura dei legami cellulari e all’innesco di processi di decomposizione che, alla fine, restituiscono gli elementi costitutivi del corpo all’ambiente.

Gli studi post-mortem e il ruolo della fisica

La tanatologia è la disciplina che studia la morte in tutte le sue manifestazioni: biologiche, mediche, psicologiche e sociali. Tradizionalmente, la medicina legale ha utilizzato l’autopsia – ossia l’esame dettagliato del corpo – come strumento per determinare le cause del decesso. Oggi, le tecniche di imaging (come la risonanza magnetica o la TAC post-mortem) consentono di effettuare analisi più precise senza dover necessariamente eseguire una dissezione invasiva.

La fisica contribuisce allo studio della morte e del decadimento del corpo umano soprattutto attraverso:

  • Termodinamica: il corpo, cessando ogni attività metabolica, si raffredda e tende all’equilibrio termico con l’ambiente. L’aumento di entropia (disordine) è un concetto chiave per spiegare la tendenza naturale dei sistemi viventi a tornare gradualmente in condizioni di equilibrio con ciò che li circonda.
  • Analisi chimico-fisica dei tessuti: la composizione isotopica e le reazioni chimiche che avvengono nei tessuti post-mortem possono fornire informazioni utili a scopi forensi e a comprendere i processi degenerativi.
  • Datazione dei resti: la fisica nucleare, tramite la tecnica del carbonio-14 (C14), permette di datare reperti organici (sebbene ciò sia più frequente in ambito archeologico).

Inoltre, la fisica più avanzata cerca risposte a quesiti ancor più profondi, ad esempio su cosa significhi che un sistema vivente “perda” la sua organizzazione interna e se ci sia qualche possibilità di “sopravvivenza” delle informazioni che caratterizzano l’identità di un individuo.

Le posizioni di Einstein, Hawking, Barrow, Tipler, Davies e Odifreddi

Albert Einstein

Einstein, benché fosse di formazione ebraica, si dichiarò più volte distante dai dogmi religiosi. La sua visione della morte era legata all’idea che l’energia e la materia siano interconvertibili (E=mc²) e che l’universo abbia un ordine razionale, ma non lasciò un’interpretazione chiaramente religiosa o mistica del trapasso. Celebre la sua citazione: “La distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione, per quanto tenace”. Per Einstein, il concetto di “tempo” è relativo e la morte, come cessazione della vita biologica, va intesa in un contesto spazio-temporale più ampio, senza implicare necessariamente la prosecuzione di un’esistenza personale.

Stephen Hawking

Stephen Hawking, noto per i suoi studi sui buchi neri e l’origine dell’universo, aveva una visione fortemente razionalistica. In più occasioni dichiarò di non credere in un aldilà in senso religioso. Riteneva che la mente fosse frutto dell’attività del cervello e che, con la cessazione dell’attività cerebrale, venisse meno anche la coscienza. Considerava la vita un fenomeno complesso, emerso dalle leggi fisiche, e la morte la conclusione naturale di questo fenomeno, senza rimandi a uno scenario post-mortem di natura soprannaturale.

John D. Barrow

John Barrow, cosmologo e matematico, si occupò di questioni filosofiche e teologiche connesse alla struttura dell’universo. Pur essendo aperto a riflessioni sulla dimensione spirituale, la sua prospettiva era legata soprattutto al ruolo delle costanti fisiche e alla profonda connessione tra le condizioni cosmiche e la vita. Sebbene non abbia dato una risposta univoca sulla vita dopo la morte, ha contribuito al dibattito sul principio antropico e su quanto l’universo sembri “tarato” per consentire l’esistenza di osservatori intelligenti. Questo, di per sé, non implica una posizione netta su una sopravvivenza personale, ma apre interrogativi sul significato della nostra esistenza in un cosmo così apparentemente fine-tuned.

Frank J. Tipler

Frank Tipler è un fisico che ha avanzato una tesi piuttosto originale: la cosiddetta “Ipotesi dell’Universo Omega”. Secondo Tipler, nel lontano futuro l’universo potrebbe collassare (o comunque evolvere in modo da garantire, attraverso forme di intelligenza avanzatissima e simulazioni computazionali, una “resurrezione” virtuale di tutti gli esseri viventi). Questa teoria, ispirata a idee di stampo tecno-futuristico e cosmologico, concede spazio a un’interpretazione che potremmo definire “scientifico-teologica”. È tuttavia una posizione molto discussa e non accettata dalla maggior parte della comunità scientifica, che la considera altamente speculativa.

Paul Davies

Paul Davies, fisico e divulgatore, ha spesso esplorato il confine tra scienza, filosofia e teologia. È noto per i suoi lavori sulla cosmologia e sull’astrobiologia e per le riflessioni sul fine-tuning cosmico. Sebbene sia aperto al dialogo con le prospettive religiose, mantiene un approccio scientifico: enfatizza le evidenze empiriche e non si spinge a sostenere una vera e propria “sopravvivenza” post-mortem, pur riconoscendo che la coscienza resta uno dei grandi misteri della scienza moderna.

Piergiorgio Odifreddi

Piergiorgio Odifreddi, matematico e saggista, adotta una posizione nettamente atea e scettica. Nella sua visione, non c’è spazio per l’idea di un aldilà: la morte rappresenta la fine definitiva dell’esistenza individuale. Critica aspramente le posizioni religiose o mistiche, ritenendole non sostenute da argomentazioni razionali né da evidenze sperimentali. Dal suo punto di vista, la spiegazione scientifica del fenomeno morte è sufficiente a dimostrare che non vi sia alcuna “vita” dopo la fine dell’attività cerebrale.

Esiste una vita dopo la morte? L’approccio scientifico

Dal punto di vista strettamente scientifico, l’evidenza empirica mostra che la coscienza è legata ai processi elettrochimici del cervello. Al momento in cui questi processi cessano, non ci sono prove che la coscienza continui a esistere in qualche forma immateriale. Sperimentalmente, tutti i fenomeni attribuiti a possibili esperienze post-mortem (come le esperienze di pre-morte o NDE) sono spiegabili con modificazioni transitorie dell’attività cerebrale in condizioni critiche o con ipotesi di natura psicologica e neurobiologica.

I fisici, studiando le leggi che governano l’universo, non hanno mai rilevato fenomeni riconducibili a una “sopravvivenza” dell’individuo in forme che sfuggano alla realtà materiale. Alcuni scienziati, come Tipler, prospettano teorie speculative (Universo Omega), ma queste, per quanto affascinanti, non costituiscono un consenso condiviso dalla comunità scientifica.

È comunque importante riconoscere che la ricerca sulla coscienza è tuttora in corso: le neuroscienze non comprendono ancora ogni aspetto del modo in cui il cervello generi l’esperienza soggettiva. Tuttavia, la mancanza di una spiegazione completa non implica automaticamente l’esistenza di entità immateriali o di realtà ultraterrene.

Fede e speculazione

La morte, dal punto di vista biologico, è lo spegnimento graduale di tutti i processi vitali e l’inizio di una serie di trasformazioni fisico-chimiche che riportano il corpo in equilibrio con l’ambiente. La fisica ci ricorda che la materia e l’energia non si distruggono, ma si trasformano: ciò significa che gli atomi che compongono il nostro corpo continueranno a esistere, pur perdendo la complessa organizzazione che ci caratterizza da vivi.

Sul versante cosmologico e filosofico, scienziati come Einstein, Hawking, Barrow, Tipler, Davies e Odifreddi hanno offerto visioni differenti, che vanno da una prospettiva totalmente materialistica e atea, fino a visioni più speculative che ipotizzano scenari futuri o universi in cui la coscienza possa, in qualche forma, persistere o essere “ricostruita”. Tali teorie restano, a oggi, congetture non dimostrate.

Dal punto di vista scientifico, non esistono prove convincenti di una vita dopo la morte. Questo non chiude definitivamente la questione dal punto di vista umano, poiché la morte coinvolge anche aspetti emotivi, etici e spirituali. Tuttavia, la scienza, fondata su osservazione e sperimentazione, offre l’interpretazione più solida che abbiamo della cessazione dell’attività vitale: un evento che, almeno nelle attuali conoscenze, indica la fine della coscienza individuale. Ogni altra congettura, per quanto affascinante, resta appannaggio della speculazione o della fede.

Stefano Camilloni

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