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Dalla Stazione Spaziale agli ospedali: come lo spazio può aiutare a sconfiggere i batteri resistenti agli antibiotici

La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) non è soltanto il luogo in cui gli astronauti vivono e conducono ricerche in microgravità: rappresenta anche un laboratorio d’eccellenza per studiare i microrganismi e i meccanismi alla base della loro sopravvivenza. Proprio in questo contesto si colloca GEARS (Genomic Enumeration of Antibiotic Resistance in Space), un esperimento gestito dal Centro di Ricerca Ames della NASA volto a investigare come i batteri resistenti agli antibiotici si comportano in orbita. L’obiettivo è duplice: proteggere la salute degli astronauti e sviluppare procedure innovative da applicare negli ospedali terrestri.

La resistenza agli antibiotici è un problema globale che miete ogni anno oltre 35.000 vittime solo negli Stati Uniti. Alcuni batteri sviluppano mutazioni che li rendono insensibili ai farmaci, compromettendo la possibilità di trattare efficacemente le infezioni. Per gli astronauti in missioni di lunga durata, ad esempio sulla Luna o su Marte, avere a disposizione un numero limitato di farmaci efficaci è cruciale per la sicurezza della missione.

Capire come i batteri si evolvono in condizioni di microgravità è essenziale non solo per prevenire malattie nello spazio, ma anche per migliorare la rapidità e l’accuratezza delle diagnosi sulla Terra. Se un sistema funziona su una piattaforma così remota come la ISS, infatti, può certamente essere applicato con successo negli ospedali e nei laboratori terrestri.

Come si svolge l’esperimento GEARS?

Gli astronauti a bordo dell’ISS raccoglieranno campioni swab (tamponi) da varie superfici interne della Stazione, in particolare quelle più soggette al contatto (come maniglie, pulsanti e postazioni di lavoro). Successivamente, questi campioni saranno esposti a un antibiotico per verificare la presenza di ceppi resistenti. Tra i batteri sotto osservazione spicca Enterococcus faecalis, un microrganismo comune nell’intestino umano ma che può causare infezioni gravi se trasferito in altre parti del corpo, soprattutto negli individui immunodepressi.

Uno degli aspetti più innovativi dell’esperimento è l’utilizzo della metagenomica direttamente nello spazio: invece di analizzare un unico patogeno, si studia in blocco tutto il materiale genetico presente in un campione, identificando così in modo rapido e completo le specie batteriche e i geni di resistenza agli antibiotici.

Le prime sorprese e le prossime fasi

Dal primo round di analisi, i ricercatori sono rimasti sorpresi nel trovare pochissimi batteri resistenti e nessuna traccia di E. faecalis. Questa scarsità di microrganismi è stata attribuita alle accurate procedure di pulizia a bordo della Stazione. Per ottenere dati più significativi, in una seconda fase si è parzialmente sospesa la routine di pulizia in alcune aree, così da capire meglio come i batteri si diffondono e sopravvivono nell’ambiente spaziale.

Nel corso dell’anno, gli astronauti ripeteranno i prelievi e le analisi, raccogliendo informazioni preziose sulla frequenza con cui i batteri resistenti si manifestano e su come adattarsi per contrastarli.

Dallo spazio alla Terra

Uno degli scopi principali della NASA è sviluppare un protocollo rapido: passare dal campionamento alla diagnosi in poche ore. Se applicata negli ospedali, questa metodologia potrebbe rivoluzionare la gestione delle infezioni da batteri antibiotico-resistenti, accelerando la scelta del trattamento più adeguato e potenzialmente salvando migliaia di vite.

Come sottolinea la microbiologa della NASA, Sarah Wallace, la cui stessa famiglia ha vissuto il dramma di una grave infezione ospedaliera, un test rapido potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte per molti pazienti.

Il successo di GEARS non è soltanto un passo avanti nella protezione degli equipaggi in orbita, ma anche un potenziale balzo in avanti nella lotta globale contro l’antibiotico-resistenza: ciò che funziona nello spazio potrebbe presto diventare una risorsa insostituibile anche in corsia.

Stefano Camilloni

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