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Grafene lunare: un enigma che riscrive la storia del nostro satellite

Da oltre cinquant’anni la Luna alimenta la curiosità di scienziati e appassionati di astronomia, tutti desiderosi di scoprire come questo corpo celeste si sia formato. La teoria più condivisa sull’origine lunare, nota come “teoria del grande impatto”, ipotizza che un pianeta delle dimensioni di Marte, soprannominato Teia, abbia colpito la Proto-Terra circa 4,4 miliardi di anni fa, proiettando una grande quantità di detriti nello spazio. Questi frammenti, aggregandosi nel giro di poche ore o pochi giorni, avrebbero dato vita alla Luna. Tuttavia, nuovi dati raccolti dalle recenti missioni lunari hanno messo in luce la presenza di grafene sul suolo lunare, un fatto che ci costringe a riconsiderare alcune certezze.

Il grafene, pur essendo un allotropo del carbonio come il diamante o la grafite, ha caratteristiche rivoluzionarie. È composto da un sottilissimo strato di atomi di carbonio disposti secondo una griglia esagonale che gli conferisce una resistenza paragonabile a quella del diamante, un’elevata flessibilità, una capacità di conduzione termica e proprietà semiconduttrici di grande interesse. Scoperto sperimentalmente nel 2004 dai fisici Andre Geim e Konstantin Novoselov, che per questa scoperta hanno ricevuto il Premio Nobel, il grafene ha già aperto scenari tecnologici di enorme portata: materiali più leggeri e resistenti, dispositivi elettronici innovativi, batterie e sensori di nuova generazione.

Che cosa ha di tanto sorprendente la scoperta del grafene sulla Luna? Secondo la teoria del grande impatto, la Luna si sarebbe formata in condizioni di calore e pressione talmente estreme da far pensare che ogni traccia di carbonio, elemento altamente volatile, si sarebbe dispersa o consumata. Eppure le analisi della missione cinese Chang’e 5 (2020) hanno restituito campioni in cui si è rivelata la presenza di grafene. A confermare l’enigma ci sono anche i dati della sonda giapponese Kaguya, che ha rilevato un’emissione di carbonio dalla superficie lunare sia nelle regioni più antiche (gli altipiani) sia in quelle più recenti.

Le possibili spiegazioni comprendono l’ipotesi di un “rifornimento” di carbonio avvenuto in epoche successive mediante impatti di meteoriti ricchi di questo elemento, oppure la formazione del grafene come conseguenza di processi vulcanici interni alla Luna o ancora l’interazione del vento solare con la regolite lunare, che potrebbe generare composti del carbonio in determinate circostanze. Un’ulteriore congettura prevede che le temperature post-impatto non siano state uniformemente elevate in ogni parte della nube di detriti, consentendo ad alcuni atomi di carbonio di sopravvivere.

Qualunque sia la causa, la presenza di grafene sulla Luna ci ricorda che nessuna teoria, per quanto appoggiata da solide basi, deve essere considerata definitiva. La scienza avanza proprio attraverso la messa in discussione delle sue stesse ipotesi, accogliendo con spirito critico ogni anomalia e spingendoci a cercare spiegazioni più articolate o ad aggiornare i modelli esistenti. Questo nuovo tassello aiuta a gettare luce anche su aspetti ancora poco chiari dell’evoluzione geologica lunare: le future missioni e le analisi sempre più avanzate dei campioni riportati sulla Terra potrebbero portare a una visione più completa, non solo delle vicende della Luna, ma anche dell’evoluzione della Terra e dell’intero Sistema Solare.

In fondo, ciò che rende affascinante la ricerca scientifica è il continuo processo di revisione e di scoperta, il coraggio di dubitare in modo rigoroso delle nostre certezze, per poi ricostruirle su nuove e più solide fondamenta. Il grafene lunare è solo un esempio di come anche un singolo risultato sperimentale possa aprire prospettive inaspettate, invitandoci a ripensare l’origine stessa del nostro compagno celeste.

Stefano Camilloni

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