Le “ninfee” extraterrestri esistono? Un nuovo studio suggerisce che la vegetazione galleggiante – piante acquatiche che fluttuano sulla superficie degli oceani – potrebbe essere individuata attraverso un peculiare segnale di riflettanza, offrendo un indizio promettente per scoprire vita aliena.
La ricerca di vita aliena entra in una nuova era man mano che scopriamo pianeti attorno ad altre stelle. Oggi conosciamo quasi 6.000 esopianeti – pianeti oltre il nostro Sistema Solare – alcuni dei quali si trovano nella cosiddetta zona abitabile, dove potrebbe esistere acqua liquida in superficie. Trovare tracce di vita su questi mondi distanti è una delle grandi sfide scientifiche del XXI secolo. Gli scienziati stanno sviluppando telescopi e tecniche di osservazione diretta per analizzare la debole luce riflessa da questi pianeti, alla ricerca di biosignature (segnali biologici) caratteristiche della vita.
Il “red edge”: l’impronta delle piante
Uno dei possibili biosegnali che potremmo cercare nei pianeti lontani è legato alla vegetazione. Sulla Terra, le foglie delle piante riflettono la luce in modo molto particolare: dopo la lunghezza d’onda del rosso, la loro riflettanza schizza verso l’alto nel vicino infrarosso, creando un netto cambiamento nello spettro chiamato “vegetation red edge” (letteralmente orlo rosso della vegetazione). Questo fenomeno – dovuto alla presenza di pigmenti come la clorofilla e alla struttura interna delle foglie – è così pronunciato che i satelliti lo usano per distinguere le aree verdi sul nostro pianeta. In pratica, il “red edge” è una firma luminosa tipica delle piante terrestri, considerata una chiave per riconoscere la vegetazione dallo spazio. Proprio per questo, gli astrobiologi la considerano un potenziale indicatore di vita su un esopianeta simile alla Terra. Ma cosa accadrebbe se il pianeta alieno non avesse affatto terre emerse ricoperte di foreste?
Pianeti oceano e vegetazione galleggiante
Alcuni esopianeti potrebbero essere pianeti oceano, con la superficie quasi interamente coperta d’acqua. In assenza di continenti su cui crescano alberi o prati, verrebbe a mancare la vegetazione terrestre tradizionale. Ciò non significa però che questi mondi acquatici siano necessariamente privi di vita. Sulla Terra esistono piante acquatiche – come le ninfee, i giacinti d’acqua o le felci galleggianti – che vivono a pelo d’acqua, ovvero con le foglie sulla superficie e le radici libere nell’acqua. Queste piante galleggianti hanno sviluppato adattamenti speciali: tessuti spugnosi pieni d’aria che le tengono a galla e foglie con superfici idrorepellenti che restano asciutte nonostante l’ambiente acquatico. Tali caratteristiche strutturali fanno sì che molte piante galleggianti riflettano la luce in modo sorprendentemente efficace, mostrando anch’esse un marcato red edge – in alcuni casi pari o addirittura superiore a quello delle piante terrestri comuni. In altre parole, una “ninfea aliena” potrebbe brillare nel vicino infrarosso tanto quanto (se non più di) un pino o una quercia sulla Terra. Inoltre, anche se l’acqua sulle foglie bagnate può ridurre leggermente la riflettanza, queste piante continuano a mostrare un segnale infrarosso molto più evidente rispetto alle piante interamente sommerse sott’acqua.
Dalle foglie in laboratorio ai satelliti
Per capire se la vegetazione galleggiante potrebbe essere individuata su un pianeta lontano, un gruppo di ricercatori ha eseguito esperimenti su diverse scale. In laboratorio hanno analizzato singole foglie di piante acquatiche galleggianti per misurarne lo spettro di riflettanza. Successivamente, hanno utilizzato i dati dei satelliti ambientali (come Sentinel-2 dell’Agenzia Spaziale Europea) per osservare dall’alto laghi e paludi terrestri ricoperti di piante galleggianti. I risultati sono incoraggianti: in condizioni controllate, le foglie galleggianti mostrano chiaramente il caratteristico “red edge”. Su larga scala, quando si osserva un intero lago, il segnale diventa più debole rispetto a quello di una foresta densa . Questo perché le foglie galleggianti di solito non coprono tutta la superficie dell’acqua in modo compatto: ci sono spazi vuoti, l’acqua riflette meno luce delle foglie e il “manto verde” risulta meno continuo rispetto a un bosco. Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che ciò che perde in intensità, la vegetazione galleggiante lo guadagna in variabilità temporale. Analizzando le immagini satellitari nell’arco di un anno, si è visto che queste piante acquatiche fioriscono in estate e scompaiono in inverno, provocando oscillazioni notevoli in indici di vegetazione come l’NDVI (Normalized Difference Vegetation Index). L’NDVI è un indice usato per quantificare il verde: valori alti indicano abbondanza di vegetazione, valori bassi o negativi indicano suoli spogli o acqua. Ebbene, nei laghi studiati l’NDVI medio passava da valori negativi in inverno (quando le piante galleggianti appassiscono o affondano, lasciando l’acqua “spoglia”) a valori positivi in estate, quando la superficie si copre di foglie.
Nel corso dell’anno, l’NDVI aumenta in primavera-estate man mano che la vegetazione galleggiante prolifera, raggiungendo un picco in estate, per poi calare in autunno. In inverno, con la scomparsa delle piante dalla superficie, l’indice diventa addirittura negativo. L’acqua stessa riflette molto poco la luce e questo valore di fondo rimane stabile, creando un contrasto netto tra i mesi con e senza copertura vegetale. Questa marcata variazione stagionale – più accentuata di quella osservabile in molte foreste terrestri – risulta essere un segnale robusto, riconoscibile nonostante le possibili interferenze dell’atmosfera o la copertura nuvolosa. In altre parole, il “prima e dopo” stagionale delle piante galleggianti emerge chiaramente dai dati, rendendolo un potenziale indicatore di vita facile da cogliere anche a distanza planetaria.

Un nuovo orizzonte per l’astrobiologia
L’ipotesi entusiasmante è che, se su un pianeta oceano esistessero organismi fotosintetici simili alle nostre piante galleggianti, potremmo rilevarne la presenza osservando come cambia la luce riflessa nel corso del tempo. Un mondo coperto d’acqua non sarebbe più automaticamente escluso dalla “lista dei candidati” alla vita: potrebbe ospitare distese di vegetazione a fior d’acqua che fioriscono e svaniscono con le stagioni aliene, imprimendo nel colore globale del pianeta un segnale ciclico riconoscibile. Questo approccio allarga lo sguardo dell’astrobiologia, spingendoci a immaginare forme di vita adattate a ambienti diversi dal nostro e a identificare le tracce che tali forme di vita lascerebbero a livello planetario. Comprendere come la vita interagisce e coevolve con il suo ambiente è fondamentale per prevedere quali impronte biologiche cercare su pianeti con condizioni estreme o insolite. Lo studio sulla vegetazione galleggiante fornisce una base importante per le future ricerche di biosignature, aprendo la strada alla prossima generazione di missioni dedicate alla ricerca di vita extraterrestre. In futuro, quando punteremo i nostri telescopi verso un piccolo punto azzurro lontano, potremo chiederci: quel mondo d’oceano nasconde forse una floridissima giungla galleggiante? Le risposte potrebbero sorprenderci e rivoluzionare la nostra comprensione della vita nel cosmo.
Stefano Camilloni