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Alla scoperta dei dischi protoplanetari nascosti di Lupus: un nuovo quadro per la formazione dei pianeti

Il cosmo, nella sua immensità, è un brulicare di culle stellari, regioni dove nuove stelle nascono avvolte in nubi di gas e polvere. Da questi dischi protoplanetari, come anelli attorno a giovani soli, emergono i sistemi planetari che popolano le galassie. Comprendere i meccanismi che trasformano queste strutture primordiali in complessi sistemi di pianeti è una delle sfide più affascinanti dell’astrofisica moderna.

Negli ultimi anni, il telescopio Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) ha rivoluzionato il nostro modo di osservare questi dischi, svelando dettagli inediti grazie alla sua straordinaria sensibilità e risoluzione spaziale. La maggior parte degli esopianeti scoperti finora orbita attorno a stelle di piccola massa, che tendono ad ospitare dischi più piccoli nelle loro fasi iniziali. Per questo motivo, studiare questi dischi compatti e meno luminosi con la massima risoluzione possibile è cruciale per ridurre i bias osservativi e comprendere appieno il legame tra le sottostrutture dei dischi e la formazione planetaria.

Un recente studio pubblicato su Astronomy & Astrophysics ha compiuto un passo significativo in questa direzione, presentando una nuova indagine ad alta risoluzione di 33 dischi protoplanetari situati nella regione di formazione stellare di Lupus, selezionati per avere flussi di polvere continui inferiori a 25 mJy. Combinando questi nuovi dati con osservazioni d’archivio e lavori precedentemente pubblicati, il team di ricerca ha creato una libreria quasi completa di immagini ad alta risoluzione di 73 dischi protoplanetari (di Classe II) nella regione di Lupus. Questa ricchezza di dati ha permesso di misurare i raggi dei dischi di polvere fino a un limite di soli 0.6 unità astronomiche (au) e di analizzare i profili di intensità utilizzando la modellazione della visibilità.

Un universo di dischi compatti e sottostrutture inattese

I risultati di questa indagine hanno rivelato che una sorprendente frazione (67%) dei dischi protoplanetari di Lupus presenta raggi di polvere inferiori a 30 au, una dimensione paragonabile all’orbita di Nettuno nel nostro Sistema Solare. Inoltre, lo studio ha permesso di caratterizzare nuove sottostrutture in 11 dischi, alcuni dei quali mostrano i gap con la separazione più breve mai osservata. Sebbene la maggior parte delle sottostrutture sia stata rilevata nei dischi più massivi e di grandi dimensioni, anche diversi dischi compatti hanno rivelato la presenza di gap e cavità interne.

La relazione tra la dimensione e la luminosità dei dischi (Size-Luminosity Relation o SLR), quando si tiene conto anche dei dischi più piccoli, si allinea bene con uno scenario di evoluzione della polvere dominato dalla deriva radiale per i dischi di Classe II di Lupus. Questo significa che la polvere nei dischi perde momento angolare e spiraleggia verso la stella centrale nel tempo.

Per i dischi più compatti, con raggi inferiori a 30 au, i ricercatori hanno confrontato le dimensioni e i flussi misurati con una griglia di modelli di trasferimento radiativo per derivare le masse di polvere emettenti a lunghezze d’onda millimetriche, che variano da 0.3 a 26.3 masse terrestri (M⊕).

Pianeti in embriosi? Le sottostrutture come indizi

Assumendo che le sottostrutture rilevate siano effetti dinamici causati dalla presenza di pianeti in formazione, il team ha stimato le masse planetarie attraverso un’interpolazione dei risultati. Le stime suggeriscono un intervallo di masse tra 20 e 2000 M⊕, con separazioni dalla stella ospite comprese tra 2 e 74 au.

Le conclusioni dello studio indicano che due terzi dei dischi protoplanetari in Lupus appaiono lisci su scale maggiori di 4 au e sono compatti, mentre le sottostrutture tendono ad essere più evidenti nei pochi dischi più grandi. Questi dischi compatti sono coerenti con un’evoluzione dominata dalla deriva radiale e le loro masse e opacità suggeriscono che potrebbero aver già sperimentato una significativa formazione planetaria, con la maggior parte dei piccoli solidi convertiti in planetesimi e pianeti. Questo li rende candidati ideali per spiegare la formazione e l’origine delle super-Terre, una classe di esopianeti più massivi della Terra ma meno massivi dei giganti gassosi.

Il legame con il mondo degli esopianeti

Questo lavoro si inserisce in un contesto più ampio di sforzi volti a collegare direttamente le osservazioni degli esopianeti con le proprietà dei loro luoghi di nascita, i dischi protoplanetari. La disponibilità di massa nei dischi per formare pianeti giganti e terrestri, così come la connessione tra le sottostrutture dei dischi e le caratteristiche degli esopianeti osservati, sono temi centrali della ricerca attuale.

In particolare, lo studio di van der Marel & Mulders (2021) aveva suggerito che la maggior parte degli esopianeti rocciosi vicini a stelle di tipo M (stelle di piccola massa e bassa temperatura) si sia probabilmente formata nei dischi compatti e lisci, in assenza di pianeti giganti a grande distanza che potrebbero impedire la deriva radiale. Questi dischi compatti possono formare pianeti, in particolare super-Terre, attraverso l’accumulo di “ciottoli” (pebble accretion), un processo favorito dalla concentrazione di materiale nelle regioni interne a causa della deriva radiale.

Tuttavia, a causa della risoluzione relativamente bassa delle precedenti osservazioni dei dischi protoplanetari rispetto alle regioni dove si trovano la maggior parte degli esopianeti, la relazione tra tali dischi e gli esopianeti rocciosi rimaneva incerta. La nuova indagine ad alta risoluzione su Lupus contribuisce in modo significativo a colmare questa lacuna, fornendo un quadro più dettagliato delle proprietà dei dischi, specialmente di quelli più compatti, che sono i più numerosi e potenzialmente i siti di formazione delle super-Terre.

Modelli radiativi e masse di polvere: andare oltre l’approssimazione otticamente sottile

Solitamente, le masse di polvere nei dischi vengono calcolate utilizzando una relazione lineare con il flusso millimetrico, assumendo che l’emissione continua della polvere sia otticamente sottile (cioè, la radiazione può attraversare il disco senza essere significativamente assorbita o diffusa). Tuttavia, l’esistenza di dischi molto piccoli solleva interrogativi sulla validità di questa ipotesi, poiché la profondità ottica potrebbe essere elevata.

Per affrontare questo problema, i ricercatori hanno creato un’ampia griglia di modelli di trasferimento radiativo per calcolare le densità di flusso totali previste per diversi parametri stellari e masse di disco, coprendo l’intervallo di raggi osservati. Questi modelli tengono conto della potenziale opacità della polvere e forniscono stime più accurate delle masse del disco.

Il confronto tra le masse derivate dai modelli e quelle ottenute con l’approssimazione otticamente sottile rivela che quest’ultima può sottostimare la massa reale, specialmente per i dischi più compatti dove l’emissione può diventare otticamente spessa. Tuttavia, in generale, le masse di polvere stimate per i dischi di Lupus rimangono relativamente basse, suggerendo che gran parte della massa solida iniziale potrebbe essersi già aggregata in corpi più grandi o essere caduta sulla stella.

Un mosaico di sistemi planetari in formazione

L’analisi delle sottostrutture e la stima delle masse planetarie associate aprono una finestra affascinante sui processi di formazione planetaria in atto nella regione di Lupus. La scoperta di gap a distanze così piccole dalla stella ospite suggerisce che la formazione di pianeti può iniziare molto precocemente e nelle regioni interne dei dischi.

È interessante notare che la distribuzione delle masse planetarie stimate e delle loro distanze dalla stella in Lupus mostra una certa sovrapposizione con le proprietà degli esopianeti scoperti con il metodo della velocità radiale, particolarmente quelli attorno a stelle di tipo M e K. Questo rafforza l’idea che i pianeti possano formarsi in situ nei dischi compatti, piuttosto che migrare successivamente verso le loro posizioni osservate.

Tuttavia, lo studio evidenzia anche un’enigmatica scarsità di pianeti/gap tra le 5 e le 15 au nei dischi di Lupus. Sebbene siano necessarie ulteriori osservazioni per confermare la significatività di questa “valle”, i ricercatori ipotizzano che potrebbe essere legata alla posizione delle linee di condensazione (snowlines) di molecole importanti come l’acqua e il monossido di carbonio nel disco, che potrebbero influenzare i processi di formazione planetaria.

È importante considerare anche che le cavità e i gap osservati nei dischi protoplanetari non sono necessariamente sempre causati dalla presenza di pianeti. Altri meccanismi fisici, come la fotoevaporazione interna (l’allontanamento del gas dalle regioni interne del disco a causa della radiazione stellare) o la presenza di “zone morte” nel disco (regioni con bassa turbolenza dove l’accumulo di polvere può portare alla formazione di strutture), potrebbero giocare un ruolo significativo.

Prospettive Future

La dettagliata indagine sui dischi protoplanetari di Lupus presentata in questo studio fornisce nuove e preziose informazioni sulla diversità e l’evoluzione di questi sistemi in formazione. La scoperta di una elevata frazione di dischi compatti, molti dei quali mostrano sottostrutture inattese, e l’analisi della loro relazione dimensione-luminosità supportano uno scenario di evoluzione dominato dalla deriva radiale, particolarmente rilevante per la formazione di super-Terre attorno a stelle di piccola massa.

Le stime delle masse di polvere, ottenute attraverso modelli radiativi più sofisticati, suggeriscono che la massa solida osservata potrebbe rappresentare solo la punta dell’iceberg del materiale disponibile per la formazione planetaria. Infine, il confronto tra le proprietà delle sottostrutture e quelle degli esopianeti conosciuti apre interessanti prospettive sul legame diretto tra i dischi protoplanetari e i sistemi planetari che osserviamo.

Questo lavoro sottolinea l’importanza di continuare le osservazioni ad alta risoluzione di un campione più ampio di dischi protoplanetari in diverse regioni di formazione stellare per ottenere un quadro ancora più completo e dettagliato dei complessi processi che portano alla nascita di nuovi mondi. Comprendere l’evoluzione dei dischi compatti, come quelli abbondantemente presenti in Lupus, è fondamentale per decifrare l’origine della numerosa popolazione di esopianeti, in particolare le super-Terre, che popolano la nostra galassia.

Stefano Camilloni

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