Di recente, in una vivace serata di divulgazione, il fisico Carlo Rovelli ha parlato del suo libro Buchi Bianchi dialogando con il divulgatore Adrian Fartade. Con il suo inconfondibile stile chiaro ed evocativo, Rovelli ha accompagnato il pubblico in un viaggio immaginario “dentro” un buco nero, per scoprire che cosa potrebbe trovarsi oltre l’apparente “punto di non ritorno”.
Questa presentazione ha toccato tanto i fondamenti della Relatività Generale – la teoria di Einstein che descrive la struttura dello spazio-tempo – quanto la necessità di introdurre la Meccanica Quantistica per spiegare cosa accade in condizioni di gravità estrema. Per Rovelli, infatti, la scienza è prima di tutto un grande racconto di esplorazione: una ricerca continua che, come nella Divina Commedia, conduce prima dentro l’oscurità dell’“Inferno” (il buco nero) per poi spingere la mente oltre l’orizzonte degli eventi, in un ipotetico “rimbalzo” quantistico.
L’analogia con Dante, citata spesso da Rovelli, rende bene l’idea: come Virgilio accompagna Dante fino alla soglia del Paradiso, dove interviene Beatrice, così le Equazioni di Einstein guidano i fisici soltanto fino a un certo punto. Oltre, serve una “nuova guida”: la gravità quantistica, ossia una teoria che concili i principi della Relatività Generale con quelli della Meccanica Quantistica.
Che cos’è un buco bianco?
L’idea del “buco bianco” – ossia un oggetto da cui la materia potrebbe fuoriuscire anziché entrare – nasce storicamente come controparte teorica del “buco nero”. A lungo considerato un semplice esercizio matematico, il buco bianco diventa in Buchi Bianchi un’ipotesi fisica: secondo Rovelli, potrebbe trattarsi della fase successiva di un buco nero giunto al termine della sua esistenza, quando gli effetti quantistici impediscono la formazione di una singolarità di densità infinita.
- Collasso ed evaporazione. Un buco nero si forma dal collasso di una stella o di altre grandi masse. Nella descrizione classica, al centro si sviluppa una singolarità in cui la densità va all’infinito. Ma la fisica quantistica suggerisce che, su scale minuscole, esistono fenomeni di “repulsione” o “rimbalzo” che potrebbero evitare l’infinito.
- Transizione quantistica. Durante la lunghissima “vita” di un buco nero, la cosiddetta radiazione di Hawking (prevista già negli anni ’70) ne fa diminuire gradualmente la massa. Secondo la teoria di Rovelli e dei suoi collaboratori, quando le dimensioni dell’orizzonte sono confrontabili con la scala quantistica, avviene una transizione di “tunnel” tra buco nero e buco bianco.
- Il “rimbalzo” (stella di Planck). L’ipotesi centrale è che la materia, invece di venire distrutta in una singolarità, subisca un “rimbalzo quantistico” all’interno, dando poi vita a un buco bianco. In questa fase, la materia accumulata potrebbe essere restituita all’universo, quasi come un’esplosione o un’emissione finale.
Questo scenario, pur essendo ancora speculativo e non osservato direttamente, si basa su modelli di gravità quantistica a loop (LQG), un approccio alternativo alla più nota teoria delle stringhe. La LQG quantizza lo spazio-tempo a piccolissima scala: lo spazio diventa una “rete di spin”, un reticolo di unità fondamentali. Applicando queste idee ai buchi neri, molti ricercatori hanno mostrato che l’infinita densità può essere evitata. E, se questa compressione si ferma, la materia potrebbe “rimbalzare” – nascendo così il buco bianco.
Dalla gravità quantistica a loop alle grandi questioni della fisica
La gravità quantistica a loop, sviluppata da Carlo Rovelli, Lee Smolin, Abhay Ashtekar e altri, tenta di unificare due pilastri della fisica: la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica.
- Relatività Generale: descrive come la massa e l’energia curvino lo spazio-tempo. Funziona a meraviglia su scale cosmiche (stelle, galassie, universo).
- Meccanica Quantistica: domina alle scale subatomiche. Le sue regole controintuitive – salti di energia e sovrapposizioni di stati – spiegano però il funzionamento dell’intera fisica microscopica.
Quando si affrontano fenomeni “estremi” come l’interno di un buco nero o l’istante iniziale del Big Bang, occorre tenere conto di entrambi gli aspetti. La LQG sostiene che lo spazio-tempo sia costituito da “granuli” indivisibili, il che impedirebbe il formarsi di una singolarità con densità infinita.
La comunità scientifica dibatte su quanto queste proposte siano realistiche. C’è chi, come Roger Penrose, sostiene che la singolarità non possa essere “aggirata” così facilmente e che l’informazione possa effettivamente perdersi. Altri – da Stephen Hawking, nei suoi ultimi anni, fino a Juan Maldacena – ritengono che, in una teoria completa, l’informazione non scompaia e cerchino spiegazioni alternative (per esempio “capelli soffici” sull’orizzonte del buco nero, o corrispondenze olografiche con teorie di campo).
Rovelli colloca la propria proposta in questo fermento, basandosi sulla struttura discreta dello spazio-tempo tipica della LQG: il buco nero non “collassa per sempre”, ma si “ricicla” in buco bianco, restituendo l’informazione.
Singolarità, Big Bounce e cosmologia
L’ipotesi del “rimbalzo” non si limita ai buchi neri. Da anni, la ricerca in gravità quantistica a loop ha introdotto l’idea che il Big Bang stesso non sia stato un inizio assoluto, bensì un “Big Bounce”: un precedente universo, in fase di collasso, avrebbe raggiunto una compressione estrema, per poi rimbalzare ed espandersi di nuovo. Anche in questo caso, la parola chiave è “discretezza” dello spazio-tempo, che impedisce di “schiacciare” la materia fino all’infinito.
Che la realtà funzioni davvero così non è ancora dimostrato. Ma le continue scoperte sperimentali (dalle onde gravitazionali alla prima “fotografia” di un buco nero) aprono nuove possibilità di testare queste teorie. Ad esempio, si cercano echi o fenomeni anomali nelle onde gravitazionali che potrebbero suggerire un orizzonte quantistico “soffice” o qualche segnale di rimbalzo.
L’incontro tra divulgazione e approfondimento
Nel parlare di Buchi Bianchi, Carlo Rovelli ha sottolineato anche il “lato umano” della scienza: la sensazione di meraviglia, la sfida di conciliare idee apparentemente incompatibili, l’importanza di “disimparare” concetti precedenti per lasciarsi stupire da un nuovo modo di vedere la realtà. L’accostamento frequente a Dante – oltre a rendere la spiegazione più accessibile – rispecchia un profondo parallelismo tra la ricerca scientifica e quella poetica.
Di fatto, Rovelli ha raccontato come nella scienza occorra spesso attraversare “terre incognite”, pieni di dubbi: non c’è certezza assoluta che le ipotesi sui buchi bianchi siano corrette, ma la loro coerenza matematica e la possibilità di risolvere enigmi come la singolarità e la perdita di informazione le rendono affascinanti per molti ricercatori. E, come nella Divina Commedia, c’è sempre un limite oltre il quale la nostra “guida” (in questo caso, la relatività generale) si arresta, lasciando spazio a nuovi strumenti (la meccanica quantistica e la LQG).
Uno sguardo al futuro: scienza, meraviglia e responsabilità
Quanto dovremo attendere per sapere se i buchi bianchi esistono davvero? Non c’è una risposta certa. Se la transizione da buco nero a buco bianco avviene su scale temporali enormi, potremmo non osservarla nell’universo attuale. Altri effetti, invece, potrebbero manifestarsi in segnali astronomici insoliti, come bursts di energia o particolari “eco” nelle onde gravitazionali. Per ora, queste previsioni sono alla frontiera della scienza, in una zona dove teoria e osservazione si devono incontrare.
Ciò che emerge è un messaggio di grande fiducia nella ricerca: anche se idee come quella dei buchi bianchi potranno rivelarsi incomplete o perfino sbagliate, fanno parte di un processo di scoperta collettivo, che evolve confrontandosi con i dati e con il dialogo tra studiosi. La passione con cui Rovelli ne parla – evocando i versi di Dante o il fascino di pensare di “entrare” in un buco nero – conferma come la scienza non sia solo un insieme di equazioni, ma un’avventura dello spirito.
E forse proprio in questo consiste la forza della divulgazione: mettere il grande pubblico di fronte al brivido del “non sappiamo ancora tutto”, invitandolo a condividere la meraviglia e la curiosità dei ricercatori. Da questa prospettiva, l’incontro con Carlo Rovelli non è stato soltanto una lezione di fisica, ma una dimostrazione concreta del fatto che il desiderio di capire l’universo ci coinvolge come esseri umani, facendoci sentire parte di qualcosa di più grande – o, come direbbe lo stesso Rovelli, mettendoci “in dialogo” con l’universo, quasi dandogli del tu.
Stefano Camilloni