Paolo Ferri è una figura di spicco nel panorama aerospaziale europeo: fisico, per quasi quarant’anni in forze all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) di Darmstadt – dove è stato a capo del dipartimento di operazioni spaziali – e responsabile di missioni emblematiche come Rosetta, Mars Express ed ExoMars. È stato il primo italiano a entrare nella Hall of Fame dell’International Astronautical Federation e, nel 2020, ha ricevuto dal Presidente Sergio Mattarella l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
In questi giorni è uscito il suo nuovo libro, Volare oltre il cielo (Raffaello Cortina Editore), che intende spiegare in modo chiaro e accessibile “come” si vada nello spazio, tracciando un quadro delle sfide tecnologiche e scientifiche da affrontare quando si supera il confine dell’atmosfera terrestre. Ferri ci ha raccontato genesi, obiettivi e contenuti dell’opera, condividendo anche riflessioni su temi come la possibilità (o impossibilità) di terraformare Marte, il valore dell’esplorazione umana e l’impegno dell’Italia nell’ambito spaziale.
Un libro sul “come” dell’esplorazione
Il nuovo testo di Ferri nasce, come lui stesso spiega, dall’idea di un amico dell’Ufficio Cultura del Consolato di Francoforte, che lo ha incoraggiato a illustrare in termini semplici cosa significhi “andare nello spazio”. «Ho cercato di spiegare sette aspetti fondamentali: dalla Terra ai computer, dalle tecnologie dei lanciatori ai sistemi di bordo», racconta Ferri, «in modo che chiunque, senza particolari competenze tecniche, possa farsi un’idea concreta di che cosa serva per esplorare lo spazio».
Non mancano i retroscena delle missioni a cui Ferri ha lavorato e gli aneddoti personali che introducono i vari capitoli, arricchendo la narrazione con episodi vissuti in prima persona. È un taglio divulgativo, ma con un’impronta autorevole, derivata dalla lunga esperienza all’ESA: una guida per comprendere perché lo spazio sia intrinsecamente ostile alla vita e quanto sia cruciale ingegnarsi per rendere possibile la permanenza umana oltre i confini terrestri.
Marte e la fantascienza della terraformazione
Uno dei temi più affascinanti ma anche più controversi, quando si parla di futuro dell’esplorazione, è la possibilità di “terraformare” Marte, rendendolo simile al nostro pianeta. Ferri si mostra piuttosto scettico: «La NASA ha pubblicato uno studio che sottolinea l’impossibilità pratica di terraformare Marte con le conoscenze e le risorse attuali. È un’impresa che richiederebbe tecnologie e investimenti enormi. E anche se si riuscisse, rimarrebbe un mondo con caratteristiche molto diverse dalle nostre».
Secondo Ferri, l’idea di passare una “vacanza” marziana – così come la immaginiamo per la Terra – è irrealistica. «Marte ha temperature estreme, un ambiente molto ostile e gravità ridotta. Chi andasse a viverci a lungo dovrebbe rinunciare completamente alla Terra. Se poi avessimo la tecnologia per modificare un pianeta intero, probabilmente potremmo già viaggiare oltre il Sistema Solare alla ricerca di mondi più adatti alla vita».
Perché spedire l’uomo nello spazio?
La domanda è di quelle che risuonano spesso: ha ancora senso rischiare vite umane e impiegare risorse ingenti, quando i robot esplorano già – con indiscutibile efficienza – gran parte del Sistema Solare? Ferri riconosce i vantaggi delle sonde automatiche in termini di costo e sicurezza, e del resto le missioni robotiche sono arrivate a Marte, a Venere e persino a Giove, mentre gli astronauti si muovono ancora in orbita bassa, sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Tuttavia, per Ferri non è solo una questione operativa: «È importante mantenere vivo il desiderio di esplorare di persona. Se ci limitassimo a inviare sonde, perderemmo lo spirito stesso dell’avventura. Le missioni umane ispirano e coinvolgono le persone, alimentano la curiosità e la passione». Una visione che riecheggia una frase di Isaac Asimov, secondo cui “se l’uomo smette di esporsi in prima persona all’esplorazione, finisce con il perdere il senso stesso dell’esplorare”.
La passione per Giove e i mondi ghiacciati
Spazio non vuol dire solo Marte: Ferri è da sempre affascinato dai satelliti di Giove, soprattutto Europa, che potrebbe nascondere un oceano sotto la crosta di ghiaccio. Da ragazzo, nel 1977, Ferri osservò per la prima volta i quattro satelliti galileiani con un semplice binocolo, provando un’emozione “simile a quella di Galileo”.
Oggi, con la missione JUICE dell’ESA e Europa Clipper della NASA, l’interesse per questi mondi potenzialmente abitabili è cresciuto notevolmente. «Sappiamo che Europa, Ganimede e Callisto potrebbero avere oceani liquidi, e in futuro potremmo andare a studiare anche Encelado, satellite di Saturno: i suoi geyser lanciano acqua a centinaia di chilometri d’altezza, e potremmo campionarla senza neppure atterrare», spiega Ferri. Un esempio di come l’esplorazione robotica e, forse un giorno, quella umana continuino ad aprire orizzonti per la ricerca di forme di vita oltre la Terra.
Italia protagonista in ESA
A proposito del contributo italiano nell’esplorazione spaziale, Ferri sottolinea come l’Italia stia ritagliandosi uno spazio crescente all’interno dell’ESA: «Tradizionalmente, Germania e Francia sono i principali investitori, poi arrivano Regno Unito e Italia. Ma oggi il nostro Paese ha aumentato il suo impegno in modo significativo e, all’ultima conferenza ministeriale dell’ESA, siamo saliti al terzo posto».
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha portato ulteriori fondi in un settore che Ferri definisce cruciale per l’innovazione scientifica e industriale. «È importante, però, che non sia un fuoco di paglia: se si creano competenze e startup, poi servono continuità e stabilità nei finanziamenti. La crescita deve diventare strutturale, altrimenti rischiamo di perdere l’opportunità di consolidare i risultati ottenuti».
Collaborazioni e nuove realtà
Durante la carriera all’ESA, Ferri ha lavorato a stretto contatto con l’industria spaziale europea, in particolare con Thales Alenia Space (joint venture fra Thales e Leonardo), a Torino. «Mi sono sempre trovato molto bene: professionalità, competenze di alto livello», dice. Oggi il panorama italiano è più variegato: grandi aziende si affiancano a nuove imprese e startup, partecipando a progetti ambiziosi come la costellazione IRIDE.
«È un fermento positivo: quando realtà diverse, grandi e piccole, si incontrano, si contaminano a vicenda e possono generare innovazione. Spero che questo trend si mantenga: un settore spaziale forte significa ricadute benefiche anche in altri ambiti, dalla ricerca ai servizi di osservazione della Terra».
Divulgazione e passione per l’esplorazione
Ora che è in pensione, Ferri non ha perso l’entusiasmo di raccontare lo spazio. Al contrario, si dedica con ancora più slancio alla divulgazione scientifica, incontrando sia studenti universitari sia alunni delle scuole medie ed elementari: «È essenziale far scoccare la scintilla dell’interesse già da piccoli. Crescendo, spesso i percorsi di vita sono già tracciati, mentre se riusciamo a incuriosire i bambini, apriamo loro un mondo di possibilità».
Il suo prossimo libro, in uscita a ottobre e intitolato I confini dell’Universo, proseguirà idealmente il lavoro di Volare oltre il cielo, affrontando temi ancora più vasti, dai satelliti gioviani ai misteri del cosmo più profondo. Perché, in fondo, l’esplorazione non si ferma mai: è la stessa curiosità che spinse Galileo a puntare il suo cannocchiale su Giove – e che oggi ci porta a progettare sonde, basi lunari e magari un giorno a calpestare le sabbie rosse di Marte.
“Se l’uomo smette di esporsi in prima persona all’esplorazione, finisce con il perdere il senso stesso dell’esplorare.”
– Isaac Asimov (citato da Paolo Ferri)
Stefano Camilloni