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L’acqua nascosta di Marte: una nuova ricerca svela il suolo-spugna che trattiene umidità

Marte è un mondo arido, ma il suo suolo potrebbe nascondere più acqua di quanto si pensasse. Una nuova ricerca dell’Università di Tohoku ha rivelato che il regolite marziano agisce come una spugna, assorbendo e trattenendo l’umidità dall’atmosfera. Questo meccanismo potrebbe spiegare dove sia finita parte dell’acqua marziana e aprire nuove prospettive per l’esplorazione del pianeta.

Per molti anni Marte ha alimentato l’immaginazione come un pianeta che un tempo ospitava mari e fiumi. Oggi appare come un deserto gelido e polveroso, ma le tracce del suo passato acquatico sono scolpite nel paesaggio. Sono ben visibili antichi letti di fiumi prosciugati e reti di valli ramificate che somigliano ai corsi d’acqua terrestri. Queste formazioni indicano che miliardi di anni fa, Marte possedeva un’atmosfera più densa e calda, capace di mantenere acqua liquida in superficie. Gli scienziati stimano che attorno a 3,7 miliardi di anni fa il clima marziano sia cambiato drasticamente: l’atmosfera si è assottigliata e il pianeta è passato da condizioni umide e forse adatte alla vita a un ambiente arido, freddo e ostile.

Con il raffreddamento del pianeta, l’acqua marziana non è scomparsa del tutto, ma si è rifugiata in forme meno appariscenti. Oggi la maggior parte dell’acqua di Marte è intrappolata nei ghiacci polari e nel sottosuolo. Le calotte di ghiaccio ai poli sono imponenti: se si sciogliessero, rilascerebbero abbastanza acqua da coprire l’intero pianeta con un oceano profondo decine di metri. Una frazione significativa d’acqua si trova anche come ghiaccio misto a terreno nelle regioni sottosuperficiali a medie e alte latitudini. L’atmosfera, invece, ne contiene solo tracce: è talmente sottile e arida che tutta l’umidità presente, se condensasse, formerebbe appena un velo di brina di pochi centesimi di millimetro. Eppure, nonostante l’esiguità, questo vapore atmosferico partecipa a un piccolo ciclo dell’acqua marziano: durante le notti più fredde può depositarsi al suolo come brina o venire assorbito dal terreno, per poi tornare in atmosfera quando il Sole riscalda tutto nelle ore del giorno. Un esempio spettacolare di questo ciclo è stato osservato dalla sonda Viking 2 nel 1979, quando fotografò una sottile brinata mattutina che ricopriva il suolo e le rocce di Utopia Planitia, all’arrivo dell’inverno marziano. Quello strato di ghiaccio era così fine da svanire al primo tocco dei raggi solari, ma rivelò che Marte, pur sembrando un deserto inanimato, nasconde acqua un po’ ovunque – perfino nella polvere sotto i nostri piedi.

Il regolite marziano: polvere “viva” e assetata

Quando parliamo di suolo marziano, ci riferiamo al regolite: un miscuglio di polvere fine, sabbia e frammenti rocciosi che ricopre l’intera superficie del pianeta. È la “terra” di Marte, formatasi in miliardi di anni attraverso impatti meteoritici e l’erosione dei venti. A prima vista il regolite sembra completamente secco – dopotutto, se si prende in mano un pugno di sabbia marziana (come ha fatto il rover Curiosity), questa scorre fra le dita meccaniche senza mostrare tracce di umidità. E infatti il regolite è estremamente arido rispetto agli standard terrestri. Tuttavia, le missioni sul campo hanno rivelato che questo materiale nasconde proprietà chimico-fisiche sorprendenti. Ad esempio, la sonda Phoenix nel 2008 scoprì nel suolo polare marziano la presenza di perclorati, sali in grado di assorbire vapore acqueo dall’aria e di generare piccole quantità di acqua liquida sotto forma di salamoie a basse temperature. Dati meteorologici di Curiosity hanno indicato che, durante le fredde notti invernali a Gale Crater, l’umidità relativa sale abbastanza perché tali sali nel suolo catturino molecole d’acqua dall’atmosfera, potenzialmente formando microscopici rivoli salati che però evaporano al sorgere del Sole. Questo ci insegna che la “polvere” marziana non è inerte: reagisce con l’ambiente, scambiando acqua con l’atmosfera.

Inoltre, il suolo di Marte non è uguale ovunque. Le osservazioni orbitali e dei lander mostrano differenze regionali nella granulometria, composizione e compattezza del regolite. Vi sono zone più polverose, altre più rocciose; alcune aree contengono più minerali argillosi (che trattengono bene l’acqua), altre più sabbie grossolane. Alle alte latitudini, il terreno nasconde abbondante ghiaccio subito sotto la superficie (Phoenix addirittura ne ha fotografato l’affioramento brillante nei suoi scavi). Verso l’equatore, invece, il suolo è più secco in profondità, ma può comunque interagire con l’umidità atmosferica superficiale. Queste differenze fanno sì che la capacità del suolo di immagazzinare acqua non sia uniforme in tutto il pianeta. Fino ad oggi, però, i modelli del clima marziano semplificavano la questione assumendo proprietà identiche per il regolite dappertutto – un’approssimazione comoda, ma poco realistica. Proprio da questa lacuna ha preso spunto un recente studio, che ha esaminato in dettaglio il comportamento “assorbente” del suolo marziano.

Schema del modello MGCM accoppiato con il modello del regolite. Questo modello è chiamato MIRAI (Modello climatico di Marte con interazione dell’acqua tra il regolite, l’atmosfera e il ghiaccio nei pori).

Il nuovo modello: un suolo-spugna che intrappola l’acqua

Un gruppo di ricerca dell’Università di Tohoku, in Giappone, ha sviluppato un modello climatico di Marte più avanzato per capire quanta acqua il suolo possa davvero assorbire e trattenere. In laboratorio, esperimenti su campioni analoghi al regolite marziano avevano mostrato che la capacità di ritenzione d’acqua dipende fortemente da una proprietà chiamata coefficiente di adsorbimento. In parole semplici, si tratta di un numero che indica quanto “appiccicosa” è la superficie dei granelli di suolo nei confronti delle molecole d’acqua. Un terreno con alto potere adsorbente si comporta come una spugna secca molto porosa: quando l’acqua (anche solo sotto forma di vapore) entra nei suoi pori, tende a restare attaccata alle particelle del suolo. Al contrario, un terreno con scarso potere adsorbente trattiene poca umidità – come una spugna già bagnata o poco porosa, che non assorbe granché. I ricercatori hanno allora incorporato diversi valori di questo “potere spugna” del regolite all’interno di un modello globale, per simulare la distribuzione dell’acqua fino a 2 metri di profondità nel suolo marziano.

I risultati hanno confermato l’immagine di un “suolo spugna” nelle zone giuste. In particolare, alle medie e basse latitudini di Marte – le fasce temperate e tropicali del pianeta – il regolite con elevato coefficiente di adsorbimento può assorbire e trattenere quantità significative di acqua, analogamente a una grande spugna sotterranea. L’acqua arriva principalmente dall’atmosfera sotto forma di vapore che si infiltra nei pori del terreno. Una volta lì, una parte di queste molecole rimane aderente alle superfici dei granelli di polvere, formando un film sottile di acqua adsorbita stabile che avvolge le particelle. In pratica, il modello suggerisce che esiste acqua intrappolata sulla superficie dei grani del suolo che può rimanere a lungo, anche a temperature in cui non formerebbe ghiaccio solido ma neppure tornerebbe subito nell’aria. Sorprendentemente, lo studio indica anche che questo meccanismo aiuterebbe a preservare del ghiaccio sotterraneo poco al di sotto della superficie nelle regioni medie e basse del pianeta. Normalmente ci aspetteremmo che alle latitudini più calde il ghiaccio nel suolo sublimi (passi da solido a vapore) e svanisca in tempi relativamente brevi. Ma se il terreno è molto adsorbente, il movimento del vapore acqueo al suo interno risulta rallentato . In pratica, i pori del suolo “bloccano” il vapore come farebbe una rete fitta, impedendo all’acqua di diffondersi rapidamente verso la superficie e disperdersi. Di conseguenza, eventuali lenti di ghiaccio intrappolate nei primi strati di terreno potrebbero restare lì più a lungo del previsto, isolate dal soffio secco dell’atmosfera. Questo è un risultato importante, perché implica che acqua (sotto forma di ghiaccio o umidità adsorbita) potrebbe essere più abbondante e duratura nelle zone subsuperficiali di Marte di quanto si pensasse in passato.

“Il nostro studio evidenzia l’importanza di tenere conto dell’assorbimento e dell’eterogeneità del regolite marziano nelle previsioni sull’acqua superficiale di Marte” spiega Takeshi Kuroda, uno degli autori principali. Finora i modelli climatici globali di Marte erano più semplici; incorporare queste nuove proprietà li rende più realistici e permette di capire meglio come è cambiata l’acqua su Marte nel tempo. Utilizzando questo modello, gli scienziati potranno simulare non solo dove si trova l’acqua oggi, ma anche ricostruire meglio la storia del suo trasferimento dalle superfici esterne agli strati più profondi, forse fino al mantello del pianeta. In altri termini, potremo rispondere con maggior certezza a domande come: quanta acqua Marte ha perso nello spazio e quanta invece ne è rimasta intrappolata nel terreno? dove si trovano i “serbatoi” nascosti che potrebbero ancora oggi custodire acqua liquida o ghiacciata?

Implicazioni per l’esplorazione di Marte

Le scoperte su questa sorta di spugna sotterranea marziana non sono solo di interesse teorico, ma hanno conseguenze pratiche per le missioni presenti e future. Capire dove e quanta acqua è immagazzinata nel suolo di Marte è cruciale per diversi motivi. Anzitutto, l’acqua è un elemento chiave per la possibile esistenza di vita passata o presente: anche tracce di umidità nel terreno potrebbero offrire nicchie microbiche protette dalle dure condizioni superficiali. Sapere che il suolo a certe latitudini trattiene acqua significa avere nuovi luoghi “promettenti” da investigare con strumenti alla ricerca di biofirme o organismi estremofili.

In secondo luogo, l’acqua è una risorsa preziosa per l’esplorazione umana. Le agenzie spaziali pianificano di inviare esseri umani su Marte nei prossimi decenni, e nessun equipaggio potrà portare con sé tutta l’acqua necessaria. Diventa fondamentale poterla produrre in loco, estraendola dai depositi marziani. Fino ad oggi l’attenzione si è rivolta ai ghiacci polari o al ghiaccio sotterraneo relativamente puro (per esempio in alcune regioni medio-alte dove gli orbiter hanno individuato grandi quantità di ghiaccio a poca profondità). Tuttavia, queste nuove scoperte suggeriscono che anche il suolo “asciutto” di zone più vicine all’equatore potrebbe fornire acqua, se opportunamente trattato. Basterebbe riscaldare o processare il regolite per liberare l’umidità adsorbita al suo interno. Immaginiamo un futuro avamposto marziano che “spreme” letteralmente il terreno per ottenere acqua potabile, ossigeno e idrogeno per il carburante: scenari del genere diventano più realistici man mano che comprendiamo meglio quanta acqua nasconde la sabbia rossa di Marte.

Infine, dal punto di vista della ricerca scientifica e dell’esplorazione robotica, il modello sviluppato dai ricercatori giapponesi aiuterà a identificare gli obiettivi migliori da studiare. Se alcune regioni hanno un suolo con alta capacità adsorbente e quindi maggior contenuto d’acqua, varrà la pena che future missioni le esplorino in dettaglio. Missioni attualmente in cantiere potranno trarre vantaggio da questi risultati: ad esempio il progetto internazionale Mars Ice Mapper (MIM), pensato per mappare dall’orbita il ghiaccio nei primi metri di profondità, oppure missioni con trivelle e analizzatori in situ (come il rover Rosalind Franklin dell’ESA, parte della missione ExoMars, che andrà a perforare il suolo marziano). Incrociando i dati del nuovo modello con osservazioni orbitali, sarà possibile produrre vere e proprie mappe dell’acqua nascosta nel sottosuolo marziano, evidenziando zone ricche d’acqua adsorbita o di ghiaccio occultato. Queste mappe guideranno non solo la ricerca di vita e la scienza planetaria, ma anche la scelta di siti di atterraggio per astronauti e rover futuri, ottimizzando le possibilità di attingere a riserve d’acqua naturali. Come nota il team di ricerca, il modello sarà un complemento prezioso alle missioni in arrivo, ad esempio la missione giapponese Martian Moons eXploration (MMX) e altre, contribuendo a completare il quadro delle risorse idriche di Marte.

Un Marte meno arido di quanto sembra

In conclusione, Marte continua a rivelarsi un pianeta dai molteplici volti. Un tempo blu e ricco d’acqua in superficie, oggi apparentemente secco e rosso, ma con acqua nascosta nelle pieghe del suolo e delle rocce. La metafora del “suolo-spugna” ci ricorda che anche in assenza di fiumi e mari, il ciclo dell’acqua su Marte non si è fermato – semplicemente opera in modi più sottili e invisibili. Ogni notte, molecole d’acqua migrano dall’atmosfera e trovano rifugio tra i granelli di polvere, dove possono restare intrappolate forse per anni o secoli. È affascinante pensare che, camminando sulla sabbia di Marte, sotto i nostri passi potrebbe esserci un grande serbatoio di acqua dispersa, pronta a raccontarci la storia climatica del pianeta e forse a dissetare i primi esploratori umani.

Le ricerche in corso trasformano la nostra comprensione di Marte da mondo inerte a pianeta dinamico, dove anche la polvere ha un ruolo attivo nel regolare l’acqua. Questo non solo soddisfa la curiosità scientifica – svelando che fine ha fatto l’acqua marziana – ma apre nuove strade per esplorare e abitare il pianeta in futuro. Ogni scoperta, come quella del “regolite assetato” che trattiene l’acqua, è un tassello in più verso il giorno in cui vedremo esseri umani vivere su Marte, utilizzando sapientemente le risorse locali. E chissà, forse proprio quella sottile umidità del suolo che oggi stiamo iniziando a comprendere potrebbe aver custodito le ultime scintille di vita microbica su Marte, in attesa di essere scoperte. Marte, insomma, è meno arido di quanto sembri, e i suoi segreti d’acqua continuano a stimolarci a esplorare con occhi nuovi il pianeta rosso.

Stefano Camilloni

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